L’ingenuità non è una buona cosa quando si parla di politica. In questi giorni, mentre in Grecia (e in Spagna) c’è chi spinge da sinistra verso un cambiamento radicale del sistema economico, in Italia qualcuno si è svegliato e ha scoperto che al governo esiste una maggioranza formata da Partito Democratico e Forza Italia, o meglio dalla parte numericamente più consistente del Pd e da quella più filo berlusconiana di FI. Il voto sull’Italicum ha reso materialmente evidente l’accordo tra Renzi e Berlusconi, ha presentato ufficialmente agli elettori (che, va ricordato, non hanno votato per questa maggioranza) il famigerato patto del Nazareno.
La minoranza del Pd, quella erede della sinistra, è andata su tutte le furie minacciando scissioni e rotture insanabili, ma restando sempre e saldamente all’interno di un partito che ha ormai scelto la strada del neoliberismo esasperato indicata da Confindustria e dalle lobby economiche che sostengono il governo (dai petrolieri al mondo finanziario). Il risultato è un clima di indignazione e al contempo di sorpresa per quanto avvenuto in aula con l’accordo e il voto congiunto sul lodo Esposito che ha cancellato anche gli emendamenti che la minoranza PD aveva presentato alla legge elettorale. Dentro i partiti di Renzi e Berlusconi c’è chi si lamenta e attacca, come se quanto avvenuto fosse inimmaginabile. A volte sembra davvero che si esageri nell’approfittare della presunta ignoranza di un popolo che si beve tutto, perché a tutto, anche a questo, c’è un limite. Che esistano gli ingenui è assolutamente possibile, ma non tutti gli italiani lo sono.
Sin da prima che Renzi diventasse premier era evidente che, alla fine, nella sua battaglia per il potere e per l’indebolimento della classe dirigente del suo partito, egli avrebbe dovuto servirsi di Berlusconi e del suo aiuto. Le cene ad Arcore servono anche a questo, d’altra parte. Così come servivano le alleanze e gli accordi nel momento della conquista della leadership di governo. Quindi, davvero, è difficile capire di che ci si stupisca adesso. La stampa fa il suo gioco, pompa le polemiche, ma la realtà è molto meno conflittuale di quel che appare. Renzi corre per la sua strada, fregandosene dei danni che questa corsa sta producendo, gli altri protestano e minacciano, ma senza troppa convinzione. Anche perché si chiamano Civati o Fassina, mica Fidel o Ernesto. Lo stesso Bersani, al quale la discesa dai vertici ha fatto sicuramente bene, non incute particolare timore, nonostante la sua esperienza e un maggiore spessore politico rispetto ai suoi compagni di dissenso.
La situazione, insomma, non è diversa da prima. Né ci sono speranze che il dissidio si muti in azione concreta e produca un’alternativa credibile. Non è pessimismo, ma la certezza dovuta al fatto che in Italia quello che realmente manca, da circa venticinque anni, è una sinistra. Senza aggiunta di aggettivi, perché di sinistra ce ne può essere una sola, con contenuti e valori irrinunciabili, che sono alla base di ciascuna azione, anche quando essa richiede delle novità rispetto a temi e contesti su cui spesso si sono mantenute, sbagliando, posizioni anacronistiche. In altri paesi, c’è chi a sinistra ribadisce concetti e idee che sono ancora più attuali di prima, ma lo fa stando nel mondo e confrontandosi con scenari nuovi, non isolandosi o arroccandosi su progetti utopici, ma nemmeno svendendosi per una poltrona o una fetta di potere. In Italia c’è il vuoto.
La sinistra non può essere rappresentata sicuramente dalla minoranza PD, assente da tempo su temi fondamentali che riguardano il lavoro, i diritti umani, l’economia, la messa in discussione di un sistema che peraltro anche loro, nel passato, hanno appoggiato apertamente. Non può essere rappresentata nemmeno da Vendola, che conserva ancora una concezione elitaria e controversa della sinistra, basata su un’idea di purezza che poi si infrange su disastrose scelte di compromesso oppure su posizioni vetero-industrialiste macchiate per di più da discutibili rapporti di vicinanza con capitani di industria imbarazzanti. Non può certo essere rappresentata dal redivivo Rizzo, della cui pochezza non si sentiva la mancanza.
Se qualcuno dovesse poi pensare, in modo blasfemo, che il Movimento 5 Stelle possa essere il sostituto, allora il suggerimento è di abbandonare la bottiglia di grappa che tenete in mano e di andare a studiare un po’, per capire che ciò che è palesemente di destra (oltre che miseramente inconcludente) non può confondersi con la nobiltà di una storia che ha prodotto, per molti anni, uomini capaci, intellettuali illuminati e soprattutto azioni finalizzate al miglioramento della società, all’inclusione e alla conquista e riconoscimento di diritti. Diritti che oggi vengono messi in discussione e che non trovano né una difesa né una sponda (vista anche la lunga crisi del sindacato) in quegli agenti politici e sociali che una volta raccoglievano le spinte di rinnovamento o di salvaguardia del bene comune, inteso nel suo senso più ampio. A proposito di sindacati, qualcuno indica Landini come l’uomo che potrebbe rappresentare una nuova alternativa da sinistra.
Maurizio Landini è sicuramente un uomo onesto, che ancora crede in certi valori, ma nemmeno lui può coagulare le forze che chiedono e vogliono una sinistra moderna. Semplicemente per i suoi limiti palesi, che lo portano da un lato a combattere per i diritti dei lavoratori, dall’altro a dichiarare, ad esempio, in Sicilia, di essere favorevole alle trivellazioni volute da Renzi con lo Sblocca Italia, perché possono essere un’opportunità se fatte con tutti gli accorgimenti del caso. La dimostrazione di una incompetenza disarmante, che non tiene conto dei danni ambientali (ecco una delle carenze di quella vecchia sinistra industrialista che bisogna superare) né dei danni al settore della pesca, ossia diecimila persone che lavorano nell’indotto e che subiranno le conseguenze (occupazionali) del favore che Renzi e Crocetta hanno fatto ai petrolieri.
Questi, purtroppo, non sono dettagli. Come non è un dettaglio che, alla fine, è il ragionamento globale che non regge. Perché il problema più grande, in Italia, è che ci si concentra troppo sui nomi, su chi dovrebbe essere il leader, l’uomo o la donna a cui affidare le sorti dei nostri valori e delle nostre idee. È un po’ come provare a costruire un palazzo partendo dal tetto: ciascuno si è fermato a guardare come dovrebbe essere il tetto e subito dopo ha iniziato a discutere su quanti appartamenti spettano a ognuno in rapporto alla propria forza e dimensione. Dei materiali da impiegare, delle fondamenta (valori) da consolidare e costruire, dell’architettura da disegnare non si preoccupa nessuno. Ecco perché manca una sinistra ed ecco perché, in Italia, si è costretti a puntare lo sguardo altrove, a sperare che almeno in Europa si possano consolidare delle voci di sinistra. Come spesso accade, gli altri cambiano e crescono, noi restiamo a guardare e a vivere di ricordi.