L’Italia è un paese a sovranità limitata, è quello che dicevano gli esponenti del partito comunista italiano fino al congresso di Rimini del 1991 che ne sancì lo scioglimento dopo settant’anni di vita. Ora non è più così, o non dovrebbe proprio esserlo, ma quando ci sono di mezzo i soldi e il grande capo dei populisti italiani che risiede – si fa per dire – ad Arcore, visto che passa la maggior parte a Roma nella sua modesta magione di palazzo Grazioli, è fortemente interessato, allora le cose possono anche cambiare.
E allora nella politica italiana, ricettacolo di abituali nefandezze, da quando mi è capitato di far attenzione alla cronaca, oltre che al passato (che resta il mio vecchio e mai rinnegato mestiere), mi succede ogni tanto di assistere a pesanti ritorni all’indietro, alla piena età del populismo per cui tanti italiani si sono affidati da quasi un anno al gagliardo governo guidato da Matteo Renzi e dal Partito democratico, a cui mi è stato difficile nelle ultime elezioni politiche negare, pur con qualche dubbio postumo, il mio voto individuale. Così quando ho letto nella riforma fiscale in calendario, arrivata in parlamento secondo il frenetico e rassicurante ritmo impresso dal nostro capo del governo, alla sua innegabile marcia riformistica, che c’è un articolo 19 bis che stabilisce che “per il presente decreto che la punibilità è comunque esclusa quando l’importo delle imposte sui redditi non è superiore al tre per cento del reddito imponibile”, un brivido sinistro mi è corso per la schiena.
Visto che Berlusconi ha evaso un’imposta che non arriva neppure al due per cento del suo notevole reddito imponibile e visto che la norma, come spiega adeguatamente un importante quotidiano milanese, è conseguenza del depotenziamento del reato di falso che venne consumato proprio dall’uomo di Arcore quattordici anni fa. Allora si fece quell’operazione inserendo nella struttura del l’articolo di legge le soglie sotto le quali esso diventava non più penalmente punibile (anche se raddoppiano le sanzioni amministrative) e con la sentenza Giordano la Cassazione a Sezioni Unite prese atto che si dovevano revocare tutte le condanne per falso in bilancio di entità inferiori alle soglie introdotte nella vecchia norma dalla nuova. Sicché oggi con il decreto del 24 dicembre 2014, se sarà mantenuto nella forma attuale, saranno depenalizzate le dichiarazioni infedeli e le frodi fiscali e con le nuove regole un’azienda con un reddito da dieci milioni di euro potrebbe evadere il Fisco fino a trecentomila euro.
La soglia del 3 per cento interessa Berlusconi perché, alla fine, la condanna nel processo Mediaset era stata sotto la soglia del 3 per cento: 4,9 milioni di euro evasi su 410 milioni di imponibile nel 2002 e 2,6 su 312 nel 2013. Berlusconi-arguiscono i suoi legali-potrebbe chiedere al Tribunale di Milano di revocare la condanna definitiva e cancellarne gli effetti (tra i quali l’affidamento ai servizi sociali) che comunque termina nel febbraio 2015 ma questo non significherebbe automaticamente il ritorno a tempo pieno alla vita politica escluso per sei anni dalla legge Severino del 2012 che come presupposto ha tuttavia l’esistenza di una sentenza definitiva, messa la quale in discussione tutto potrebbe saltare. Per l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco è un enorme regalo ai grandi evasori. E il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti dice che quell’articolo 19 bis è stato inserito all’ultimo momento nel decreto approvato alla vigilia di Natale dal Consiglio dei Ministri. La norma, anche questo va ricordato, prima di entrare in vigore, deve avere il parere delle Commissioni Finanze di Camera e Senato, che, tuttavia, non è vincolante. Che il tutto abbia le apparenze di un giallo è indubbio, a nostro avviso, e perciò sarà importante vedere come va a finire.