Era il 14 dicembre quando la polizia turca ha arrestato 23 giornalisti. Lavoratori di diverse emittenti e giornali del Paese. Oppositori del presidente Erdogan, così sono stati considerati. Troppo vicini all’Imam Fethullah Gülen, ritenuto un “terrorista” che vuole rovesciare il governo. Per loro l’accusa è quella di far parte di una organizzazione criminale che, come scopo, ha quello di sovvertire il governo legittimo del Paese. Un’operazione vasta, che ha interessato tredici città turche e gestita dalle forze antiterroristiche.
La redazione più colpita è stata quella del giornale Zaman, molto vicino a Gulen. Mentre il direttore della testata, Ekrem Dumanli, veniva portato via, una folla di colleghi e di cittadini turchi protestava contro il duro e nuovo attacco alla libertà di stampa nel Paese.
L’accusa è quella di far parte di un’organizzazione criminale con lo scopo di attentare alla sovranità dello stato. L’operazione voluta dal presidente Erdoğan è stata condotta in tredici città turche, compresa Istanbul, dalle forze della polizia anti-terrorismo.
In manette anche il direttore e alcuni impiegati dell’emittente Samanyolu.
«Devono solo occuparsi dei fatti propri», ha detto Erdogan nelle sue prime dichiarazioni trasmesse in televisione dopo gli arresti di domenica. «L’Unione europea non può interferire in misure prese», «in un quadro legale, contro elementi che minacciano la nostra sicurezza nazionale», ha detto il presidente. L’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, aveva subito preso posizione dichiarando in una nota ufficiale che gli arresti di giornalisti «vanno contro i valori europeie gli standard a cui la Turchia aspira a fare parte».
In una nota congiunta con il commissario alla politica di vicinato Johannes Hahn, Mogherini aveva aggiunto: «Gli arresti dei giornalisti sono incompatibili con la libertà di stampa, che è il fondamento della democrazia. L’Ue si aspetta che i principi di presunzione di innocenza prevarranno e anche l’inalienabile diritto ad una indagine giusta e indipendente, nel caso di presunti illeciti, nel pieno rispetto dei diritti della difesa».
Una nota dura nei confronti di un Paese che pochi giorni fa aveva chiesto al nostro Premier, Matteo Renzi, di aiutare la Turchia nel processo di adesione all’Unione Europea
Molti dei giornalisti detenuti fino allo scorso anno erano curdi, arrestati con l’accusa di terrorismo. Altri erano semplicemente oppositori del governo Erdoğan. Dopo la diffusione del rapporto, il governo turco ne aveva rilasciata la maggior parte.
Il Caffè Geopolitico, con Mariangela Pira, ha intervistato la giornalista Marta Ottaviani. Un’intervista che vi vogliamo proporre.
Marta, il presidente Erdogan ha aspettato circa un anno per vendicarsi di uno dei suoi più importanti oppositori, Fetullah Gülen. Come dobbiamo leggere quanto sta avvenendo in Turchia oggi?
In realtà diciamo che domenica c’è stato una specie di inizio ufficiale. Erdogan nei mesi scorsi ha cercato di indebolire il movimento di Gülen spostando magistrati, capi di polizia e altri uomini ai posti di comando sospettati di essere vicini al filosofo islamico. L’inchiesta a carico del suo entourage è stata insabbiata. Una volta portata a termine questa fase, Erdogan è passato al contrattacco.
Tra gli arrestati anche il direttore del quotidiano Zaman, di proprietà di Gülen, 23 giornalisti, due capi della polizia… Marta, tu hai sottolineato che il titolo del giornale era un gioco di parole proprio con zaman. In che senso? Quali sono le prospettive vista la gravità dei fatti?
Zaman in turco vuole dire tempo. Il gioco di parole lo ha fatto il quotidiano Sozcu, che ha titolato «Bir ZAMAN’lar», che suona più o meno come “tanto tempo fa”: sotto il titolo c’era una foto di Erdogan durante una visita al giornale, proprio di fianco a Ekrem Dumanli, il direttore di Zaman che hanno arrestato domenica. Le prospettive sono molto negative. Erdogan per primo ha detto che ci potrebbero essere nuovi arresti. Il fatto che sia stato attaccato un giornale che tira quasi un milione di copie la dice lunga sul fatto che ormai il Presidente turco è convinto di poter fare quello che vuole.
Marta, anche la retata di domenica è stata annunciata via Twitter, da tale Fuat Avni – anonimo. Ci sono delle ipotesi su chi possa essere?
Con ampia probabilità una persona molto vicina allo stesso Erdogan. Una talpa che viene dal suo entourage o che ha accesso diretto a documenti riservati, viste le informazioni di cui speso viene in possesso. Quello che è accaduto ieri è strettamente legato alla fortissima corruzione presente in Turchia.
Pensi sia questo il problema più grave presente nel Paese? Oppure la minaccia è rappresentata da altro?
La corruzione è un problema molto grosso, ma credo sia una conseguenza del sistema di potere proliferato durante i Governi Erdogan e che ha sostituito il precedente. Certo ormai il potere è così ramificato che si controllano non solo i palazzi del potere e l’attività produttiva, ma anche la polizia e la magistratura
Pensi che l’Ue stia facendo abbastanza – Federica Mogherini si è espressa ieri – per cercare di arginare i problemi del Paese?
Non hanno fatto assolutamente niente. Continuano a cercare nella Turchia solo un partner commerciale e non hanno mai insistito perché il Paese maturasse realmente misure democratiche. A Bruxelles sanno perfettamente che Ankara non entrerà mai nella UE e alla Turchia sta benissimo così.
Infine, con La Stampa sei stata tempestiva nel dare le notizie relative a quanto sta accadendo in Turchia. Agli italiani che purtroppo sui giornali non leggono tanto di politica estera come sintetizzeresti in una o due frasi quanto sta accadendo in Turchia cosa diresti?
Nel 2002 ha preso il potere un uomo politico, Recep Tayyip Erdogan, che si proponeva come grande riformatore. Liberale e liberista in economia. Il Paese ha sperimentato una grande crescita economica, accompagnata dagli entusiasmi per il possibile ingresso in UE. Purtroppo non si tratta solo di un processo incompiuto. L’attività riformatrice è stata sostituita da una virata autoritaria che con il tempo è divenuta anche islamo-conservatrice. Con pesanti ripercussioni sui diritti fondamentali.
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