Un tempo, avremmo avuto girotondi intorno ai monumenti e drappi viola ai balconi e alle finestre. Al limite, anche lo sfogo plebeista e rozzo del lancio delle monetine, accompagnato da insulti e cori da stadio. Oggi, non accade nulla. Come se quello che succede a Roma in Campidoglio, e che era successo a Milano per l’Expo e al Pirellone, a Venezia con il Mose, e in tutti i consigli regionali dall’Alpi a Sicilia, ovunque fosse rimborsabile qualcosa, non stupisse più. Se possibile, in questa placida apparenza di quiete rassegnata, si misura tutta la tristezza del momento che stiamo vivendo. Pare quasi che i cittadini si siano arresi a una situazione ormai immodificabile, destinata a essere tale negli anni a venire, alla fine, quasi rassicurante nel suo essere normale. Non scandalizza più, infatti, e quindi non turba, la continua teoria di notizie di arresti di politici e alti funzionari dello Stato.
Non desta scalpore, perché è come se non si avvertisse il lutto della fiducia tradita. E in parte è così: perché ormai, in quel sistema, non si fa più alcun affidamento, e quindi non se ne può essere delusi. Al massimo sfiduciati, ma ciò è un problema di natura diversa. Si è così assenti dalla tenzone civile perché, semplicemente, si rinuncia a esser presenti, a partecipare, a pender parte di un mondo che, continuamente, minaccia, o promette, di tradire. È una drammatica presa d’atto quella che compiono in molti, smettendo di far parte del novero dei cittadini interessati alle cose della politica istituzionale, a cominciare dall’adesione ai partiti per finire alla frequentazione dei seggi e delle urne. Chiamatela anche autodifesa, perché probabilmente lo è. Ma come si può dar torto a chi in essa si rifugia? Si dirà: “ma se si lascia il campo vuoto, avranno più spazio gli interessati e coloro che perseguono fini squallidi”. Già, come se ora quel rischio non fosse la norma che si scopre in ogni singola inchiesta. No, credo che sia peggio il sentimento di scoprirsi usati con la promessa della partecipazione che quello si sapersi estranei con la pratica della rinuncia. Come al don Ciccio Tumeo, l’organista di Donnafugata nel “Gattopardo” di Tommasi di Lampedusa, non è l’abuso del potere perpetuato dal potente a indignare, ma il tentativo di farlo passare come esito del prender parte dei molti al processo decisionale che fa rinunciare all’esser fra quelli considerato. Appunto, una presa d’atto: semplice, assoluta e, per sfortuna di tutti, sfiduciati e sfiducianti, sempre più spesso definitiva.