Il talk – show è un genere televisivo che in questi anni è stato realizzato come il quadrato di un ring, dove con le parole si sferrano cazzotti, virtuali, per mandare al tappeto l’avversario. Una delle caratteristiche costanti di questo genere di trasmissione televisiva, è quella di rendere confusa la discussione. Le persone, che partecipano al talk show, parlano contemporaneamente, facendo perdere allo spettatore il filo del discorso. Parla il protagonista che sta facendo un discorso, cercando di dare una sua logica, e il regista inquadra l’antagonista, che scuote la testa in segno di contrarietà. Questo è un modo, per aumentare la confusione e non far capire allo spettatore di che cosa si sta parlando. Il conduttore, il giornalista, interrompe il protagonista che esprime un opinione, non facendolo finire il discorso e passa ad altro. Lo spettatore ha dimenticato le parole che stava ascoltando e non segue più il senso, e l’oggetto della trasmissione. Il conduttore, forse pensa di rendere il suo modo di stare sulla scena televisiva molto moderno, dinamico, mentre gli spettatori, a casa cambiano canale e seguono altro programma. Le persone, gli attori ai talk show, partecipano alla rappresentazione e calcano la scena televisiva come se stessero sul palcoscenico di un teatro, e si comportano di conseguenza: recitano una parte non raccontano la loro realtà ma seguono un copione. La realizzazione del talk-show quindi, è dare la rappresentazione di una rissa, verbale, un ring in cui non si riesce a capire cosa sta accedendo e si aspetta di vedere chi va al tappeto virtuale. Lo spettatore cambia canale.
Il talk show, per le persone interessate al dibattito politico, ha sostituito le sezioni di partito, dove quando funzionavano, si discuteva, dove gli iscritti e i simpatizzanti riflettevano sulle questioni politiche più rilevanti. La differenza sostanziale, con la sezione di partito, è che chi introduceva l’argomento era un politico di professione, un funzionario che riportava l’opinione maggioritaria, poi finita la riunione, riportava nel partito l’umore degli iscritti e dei simpatizzanti. Inoltre il segretario della sezione, di quel territorio discuteva, si confrontava con gli iscritti e simpatizzanti, e quando non partecipava il professionista della politica, rappresentava un elemento importante per quell’organizzazione politica, per sapere l’opinione, le esigenze del proprio popolo che rappresentava. Il talk show ha sostituito questo momento, non dando però la possibilità di interagire con chi parla, ma solo ascoltando, il partito politico è presente. Oggi sono dei giornalisti, dei commentatori, o delle persone presentate come esperte, che partecipano, non sempre preparati sull’argomento che si discute, e li riconosci perché vanno o sono chiamati nei talk show presenti nei vari canali televisivi. Altro elemento costante sono i sondaggi, che non aiutano la comprensione dell’argomento di cui si parla, fotografano l’opinione espressa in quel momento e non la sintesi di una riflessione, poiché abbiamo capito che gli Italiani non raccontano la loro verità, quindi, sono elemento di confusione nella narrazione del talk show. Lo spettatore sente, condivide e/o dissente e tutto finisce, poiché l’opinione o la sintesi raggiunta non è sostenuta da una conseguente azione politica, diviene una “chiacchera da bar dello sport” .
La tecnologia digitale consente l’interattività, quando sono usati i social network, tramite i computer o i telefoni di ultima generazione. Parlare con il pubblico, il telefono, è un modo meno complicato, più frequente alla radio, anche per la diffusione capillare del telefono cellulare, che ci consente di conversare con il conduttore radiofonico da qualsiasi parte stiamo. In questo modo, parlando uno per volta, il Talk Show radiofonico è più comprensibile, gli ascoltatori comprendono di cosa si sta parlando e se vogliono, dicono la loro usando il telefono. Nello stesso modo le trasmissioni televisive che usano far parlare una persona alla volta, spiegando chi è il personaggio e per quale ragione è stato chiamato, hanno una comunicazione che arriva meglio allo spettatore e non registra un calo d’ascolti significativi.
Durante i governi Berlusconi, i deputati e i senatori di Forza Italia, che partecipavano ai Talk Show, erano preparati, e scelti in base alla loro “telegenicità”. Erano allenati da esperti in comunicazione, negli studi di Mediaset, per partecipare a questo genere di spettacolo della parola. Spiegavano loro i meccanismi, per non far capire agli spettatori l’argomento di cui si parla, soprattutto se questo verteva sulle politiche di Silvio Berlusconi. Tutti i politici di Forza Italia si comportavano nel medesimo modo (ci hanno convinto che Ruby non faceva il mestiere più antico del mondo, ma era la nipote di Mubarak) per portare consenso al Partito di Silvio Berlusconi. Questo modo di realizzare i talk show più considerati e più famosi, negli anni, perdono mediamente 4 e/o 5 punti nella valutazione dei dati Auditel (indice d’ascolto), ha provocato un brusco calo di fiducia, negli spettatori .
I Talk show come molte altre trasmissioni TV, sono state inventate negli USA. Nel 1950 iniziò “The Tonight Show” un programma locale di New York chiamato Broadway Open House. Il format più diffuso deriva invece dal programma presentato da Steve Allen a New York e che andò in onda per la prima volta nel 1953 sull’ emittente ora chiamata WNBC-TV. Nel 1976, la RAI mandò in onda il primo Talk Show “Bontà loro – Incontri con i contemporanei”, condotto da Maurizio Costanzo, nato da un’idea di Angelo Guglielmi. La prima puntata andò in onda, dallo Studio 11 della Rai, in via Teulada, a Roma, alle 22,40 per una ora, da lunedì 18 ottobre1976 subito dopo il tradizionale appuntamento con Lunedì Film .
La scenografia era essenziale: una finestra, un orologio a cucù, tre poltrone, color aragosta e lo sgabello in metallo del conduttore. Altra caratteristica della trasmissione era rendere la telecamera da oggetto inanimato, a soggetto attivo della trasmissione, coinvolgendo il primo cameramen Forconi, nel linguaggio del programma. Lo scopo della trasmissione era mostrare i personaggi pubblici e potenti (esempio: Giulio Andreotti) o gente famosa, come persone normali, mettendoli insieme, “casalinga di Voghera”, o al “Contadino Lucano”. In una delle tre poltrone, infatti, era seduta una persona comune, il vicino della porta accanto, con il potente o il famoso di turno, un modo di rappresentare la realtà. Non c’era la musica, non c’erano grandiose scenografie né regie complicate parole solo parole. Il bravo conduttore faceva credere al pubblico, che parlare in “modo domestico” era il linguaggio del “buon senso”, per risolvere i problemi, una sorta di confessionale pubblico.
Maurizio Costanzo nel 1979, quando scoppia lo scandalo della P2, ammette pubblicamente l’appartenenza alla loggia Massonica di Licio Gelli. Lascia la RAI e approda a Retequattro, di proprietà di Silvio Berlusconi (anche lui inscritto alla loggia massonica P2) e dal 1982 fino al 2009 realizza 4391 puntate, per venticinque anni diventando Il Talk – show più longevo della televisione Italiana. “ Il Maurizio Costanzo Show” ideato e condotto da Maurizio Costanzo è un pezzo della storia della televisione italiana, un programma inizialmente itinerante nei vari teatri Italiani, trovando infine definitiva collocazione al Teatro Parioli di Roma andando in onda tutte le sere in seconda serata.
La TV con le varie piazze d’Italia cerca una nuova giovinezza. Il pubblico non segue più i Talk Show, non interessano i vari lavoratori che per portare all’attenzione della loro vertenza fanno atti molto spettacolari. Il web, Internet, non è la causa dello scarso interesse del pubblico per questo genere, poiché la televisione è ancora il mezzo più diffuso per la comunicazione verso gli italiani.
I contenuti multimediali, pensati dagli autori, troveranno una nuova e diversa forma di comunicazione, con una considerazione le immagini sono più efficaci delle parole per la loro sintesi espressiva e creativa.