Sud Sudan, periferia dimenticata dell’Africa

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Non è facile diventare vecchi nel Paese più giovane del mondo. Povertà, mortalità infantile e una guerra civile che dura già da un anno hanno reso il Sud Sudan un Paese dove si muore giovani. Eppure c’era aria di festa nella comunità internazionale quando il 9 luglio 2011 il Sud Sudan  divenne uno Stato indipendente in seguito a un referendum che decise il distacco dal Sudan dopo decenni di guerra civile. Il conflitto con Khartoum si concluse formalmente nel 2005, ma ci vollero sei anni per arrivare alla nascita del nuovo Stato indipendente.

C’erano speranze e prospettive di pace, prosperità e crescita. Il Sud Sudan ha territori fertili e vasti giacimenti di petrolio. Poteva essere l’inizio di una bella storia per l’Africa. Invece un anno fa , il  15  dicembre del 2013, è scoppiata una guerra civile per uno scontro di potere all’interno della nuova leadership della nazione. Gli scontri sono cominciati nella capitale Juba in seguito a una rivolta delle forze leali all’ex vicepresidente Riek Machar, esonerato pochi mesi prima dal presidente Salva Kiir. Gli scontri si sono poi estesi al resto del Sud Sudan, soprattutto nelle zone di Malakal, Bor, Bentiu e Leer. Lo scontro è diventato  anche etnico, contrapponendo la popolazione di etnia Dinka a quella di etnia Nuer (il presidente Kiir è Dinka, mentre il suo rivale Machar è Nuer). Come quasi sempre accade nei conflitti etnici, alla violenza della guerra civile si è aggiunta la ferocia. Spietata. Gli agguati non hanno risparmiato gli ospedali, come quello di Bor, che ho visitato lo scorso febbraio. Qui i pazienti  ricoverati sono stati  massacrati nei loro letti, i medici e gli infermieri inseguiti nella boscaglia, i reparti devastati.

Il conflitto ha provocato decine di migliaia di morti. Almeno 10.000, secondo le stime più attendibili, ma il conto è difficile. Forse sono di più. Molte vittime sono finite in fosse comuni. Le ho viste nei dintorni di Bor, piene di sacchi bianche e verdi, in mezzo alla desolazione più totale, non lontano da villaggi devastati, dove la gente era fuggita in tutta fretta per sfuggire alla violenza.

Quel che è certo è che il conflitto ha provocato una crisi umanitaria, che ha costretto alla fuga quasi due milioni di persone. Uomini, donne, bambini obbligati a lasciare i loro villaggi per fuggire in zona più sicure del Paese, mentre altri si sono rifugiati nei  Paesi confinanti, come l’Etiopia e l’Uganda. Soni fuggiti a piedi, sui barconi calati nel Nilo, oppure caricati nelle carlinghe dei giganteschi Antonov che hanno fatto la spola fra gli aeroporti locali e quello di Juba, trasformato in una centrale di soccorso, protetta dai carri armati e popolata di militari.

La comunità internazionale ha risposto all’emergenza con l’invio in Sud Sudan di una missione di Caschi Blu dell’Onu denominata Unimiss, che alla fine dello scorso ottobre comprendeva oltre 11 mila militari e 841 civili. L’Onu ha allestito dei campi profughi dove gli sfollati vivono comunque  in condizioni precarie e spesso di pericolo. Due esempi, che riguardano il campo di Bor. Lì nel gennaio del 2013 una epidemia fulminante di morbillo  ha ucciso 150 bambini nel giro di pochissimi giorni. In aprile il campo è stato assalito da un gruppo di uomini armati che hanno massacrato 48 persone. Un evento gravissimo, tra i più tragici e feroci del 2014, purtroppo dimenticato troppo in fretta dai media e dalla comunità internazionale.

Le trattative di pace fra le due parti, avviate ad Addis Abeba, non hanno portato risultati tangibili. Si continua a combattere e  resta la tragedia umanitaria. Ban Ki-moon, il Segretario generale dell’Onu,m lo ha ripetuto di recente: “Ciò è tragico e inaccettabile. Le ambizioni personali dei leader del Sud Sudan hanno messo in pericolo una intera nazione”.

Secondo le Nazioni Unite, per garantire gli aiuti umanitari alla popolazione sud sudanese nel 2015 servono quasi 2 miliardi di dollari. Non sarà facile trovarli. Nel mondo le crisi umanitarie sono tante. Le emergenze premono. E il Sud Sudan,  periferia dell’Africa, purtroppo non sembra nei primi posti della lista.


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