Lo sapete, perché vi scrivo sempre (anzi: grazie della pazienza) che credo nella vigilanza democratica della pubblica opinione. Senza la quale, non c’è controllo sulla politica e la qualità delle decisioni pubbliche si abbassa.
Se invece c’è Pol, le cose non vanno subito meglio, ma i politici si sentono “sorvegliati”.
Certo, da noi non siamo ancora alla vigilanza democratica dei paesi più avanzati d’Europa, ma da qualche anno ci stiamo svegliando dal torpore dell’auto-esclusione civile. Cioè da quel sentimento di inferiorità e impotenza che spesso blocca un cittadino dal mandare una lettera al giornale, per dire il suo “non sono d’accordo”.
Tanto non serve a niente, dicono i più scettici. E invece, non è così. La parola pubblica arriva.
I politici ci leggono, avvertono le nostre reazioni e, se argomentate, ne tengono anche conto. Così, diventiamo il loro sondaggio non commissionato.
Senza scomodare Hirshmann, e il suo libro del ’70 “Defezione, protesta e lealtà”, è importante pensare che per scrivere a un giornale, telefonare ad una trasmissione radiofonica, partecipare a una manifestazione ci voglia un forte senso di identità sociale. Solo se loro siamo noi, io non posso più farmi i fatti miei, ma i fatti nostri.
Finisco l’anno ringraziando chiunque abbia protestato pubblicamente, con civiltà, libertà e generosità.
Se nel 2015 ci sarà più Pol, le cose miglioreranno. Perché saremo noi a volerlo.
E io ci credo.
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