Soheil Arabi ha 30 anni, è fotografo e blogger e ha una figlia di 5 anni. Un anno fa veniva arrestato per aver insultato il profeta Maometto e alcuni personaggi politici iraniani su Facebook. Due giorni fa, il 26 novembre, Soheil è stato definitamente condannato a morte, nonostante si sia pubblicamente pentito per quello che ha scritto.
Secondo la legge islamica se una persona si pente di quel che ha fatto, la condanna può essere ridotta a 74 colpi di frusta. Sono nata a Shiraz, una città bellissima nel sud dell’Iran. All’età di 20 anni mi sono trasferita a Teheran dove ho studiato Scienze Politiche. Nel 1980 ho deciso di partire per l’Italia, spaventata dai provvedimenti del regime di Khomeini. Nella mia vita mi sono sempre battuta per i diritti di genere e per i diritti umani. Il servizio di sicurezza iraniano ha ora cominciato a diffondere la calunnia secondo la quale Soheil sarebbe stato condannato per stupro, accusa facilmente smentibile dalla lettera di condanna.
Chiedo alle autorità iraniane la sospensione della Pena di morte a Soheil Arabi e il rispetto delle leggi internazionali sui diritti umani secondo le quali la pena di morte può essere esercitata soltanto per i crimini più gravi, tra i quali senz’altro non rientrano i reati d’opinione.