Gli ultimi scandali di Expo, Mose e mafia Capitale impongono una coraggiosa riflessione sulla opportunità di un finanziamento pubblico ai partiti. Per non esporli a dover cercare fondi dai privati, che – come dimostra la cronaca giudiziaria – poi pretendono un controvalore ben maggiore in appalti ed altri favori. Ecco perché credo che se non ce la paghiamo noi cittadini la buona politica con fondi pubblici, ce la ritroveremo infiltrata da interessate dazioni di lobby private.
Quindi, torniamo al finanziamento pubblico ai partiti?
Sì, ma a precise condizioni. Che sia moderato, tracciato e certificato. Ma soprattutto che la contribuzione pubblica sia condizionata dalla riduzione drastica delle remunerazioni dei parlamentari, nonché ad una nuova definizione della “forma partito”, più stringente della sua attuale natura associativa.
Quello che è certo è che non possiamo più assistere al vortice di corruzione negli appalti pubblici, ma nemmeno alle cene renziane di finanziamento a 1000 euro a persona con tanto di elenchi ospiti coperti da una pseudo-privacy, per non parlare degli strani versamenti per le fondazioni d’area.
Se non bonifichiamo i partiti con regole chiare e gli eletti con retribuzioni sobrie, la cosa pubblica sarà in mano alle bande. E dal caos esce sempre un uomo della provvidenza. No, grazie, abbiamo già dato.
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