Il 19 dicembre è celebrata la Giornata Internazionale del Migrante . Una occasione importante per ricordare e riflettere insieme su un fenomeno ormai strutturale e indispensabile al nostro Paese, ma che ha dimensioni globali e ragioni antiche. L’origine invece di questa celebrazione è molto più recente, fu infatti proclamata nel 2000 in ricordo di quando il 18 dicembre del 1990 l’assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Un testo composto di 93 articoli dove la distinzione fra lavoratori regolari e irregolari viene meno al fine del godimento del diritti sociali e individuali ed anzi si prevede che vengano estesi ai membri delle famiglie. Si ribadisce la lotta senza quartiere allo sfruttamento e alle discriminazioni e si chiede il pieno riconoscimento – ad esempio – della libertà di religione ed espressione. Questi per grandi linee i contenuti di una convenzione ancora attualissima nei valori affermati e nell’idea di società aperta, inclusiva e plurale che delinea.
Le recenti cronache internazionali con numerosi episodi di violenza a sfondo razzista o pseudo confessionale, l’avanzata in Europa di movimenti apertamente xenofobi rendono ancora più importanti quei valori di rispetto e convivenza che rappresentano l’intelaiatura culturale portante dell’articolato della Convenzione.
Un testo che riprende e attualizza molte delle precedenti convenzioni internazionali a difesa dei diritti umani e dei lavoratori migranti e non, ma che resta incredibilmente ancora oggi firmato e ratificato solo da pochi Stati prevalentemente del Sud del mondo e con l’assenza dell’Europa, Italia compresa.
In Italia la nostra Costituzione in primis e molte leggi, accolgono e tutelano quei diritti, non si tratta quindi di una battaglia da fare per ottenere un adeguamento legislativo nel nostro Paese, dove pure bisognerebbe chiudere il triste capitolo della Bossi-Fini. Firmare la Convenzione significherebbe invece dare sostegno a una battaglia di carattere culturale e riportare al centro della discussione economica il grande tema rappresentato dagli oltre 232 milioni di migranti nel mondo – 3% della popolazione – una stima per difetto ma che ci lascia capire quanto il tema sia già oggi rilevante. A maggior ragione se si pensa che l’aumento delle migrazioni ha come fattori scatenanti quello demografico e l’instabilità politica ed economica. Il primo in particolare è un fattore che prevedibilmente continuerà ad avere una incidenza crescente anche in futuro come dimostrano i più recenti studi demografici condotti sul continente africano per citare quello a noi più vicino. Uno scenario globale quello che abbiamo di fronte e che richiede quindi una presa di coscienza di uguale portata per poter affrontare nell’immediato futuro questi processi in termini positivi e di crescita sociale ed economica comune. Di riconoscimento dei diritti individuali e sociali dei migranti come fattore primario di crescita sociale ed economica anche per i Paesi ospitanti e per tutti i cittadini. Il salto da eterno migrante a nuovo cittadino è la sfida implicita che quella Convenzione lancia e che dovremmo avere l’intelligenza di raccogliere per garantire ai nostri Paesi un futuro migliore.
Per questa ragione ritengo che il modo migliore per celebrare il 19 dicembre sarebbe impegnarsi attivamente in Europa affinché si firmi la Convenzione ONU 45/158 del 1990, partendo dall’Italia. Significherebbe dare una lettura dei processi mondiali in atto diversa e realistica, in grado di cogliere i mutamenti in corso dando risposte adeguate e invertendo l’approccio emergenziale e di retroguardia nell’affrontare questo tema. Una impostazione questa che finora ha viziato spesso i provvedimenti legislativi in Italia e in molti Paesi europei e del Nord del mondo sull’immigrazione, determinando in alcuni casi evidenti arretramenti sul fronte del rispetto dei diritti sociali e umani dei migranti. Un errore che ha portato molte nazioni ricche e civili ad adottare politiche improntate alla paura e alla chiusura, quasi che l’immigrazione fosse percepita come un fenomeno inaspettato o passeggero, mentre rappresenta un elemento fondamentale e costante di sviluppo e progresso nella storia dell’uomo.