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Nigeria: i media fanno solo da grancassa ed amplificatore a Boko Haram?

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Troppo o troppo poco? La crisi che la Nigeria sta vivendo apre numerosi interrogativi su una situazione drammatica che si sta consumando sotto gli occhi di tutti. Sono almeno 5 anni (cioè da quando è nato ufficialmente il gruppo terroristico islamico Boko Haram) che i media internazionali sono “costretti” ad interessarsi delle stragi e degli orrori quotidiani che scuotono il paese più grande e popolato d’Africa. In precedenza (tranne rare eccezioni, tutte comunque sulla stampa straniera) l’informazione su ciò che stava accadendo nella zona nord orientale della Nigeria era episodica ed insufficiente, specialmente riguardo l’origine di Boko Haram, ed in particolare le condizioni di dura repressione che lo stato centrale ha esercito contro i fondamentalisti islamici fino a spingerli verso la guerriglia.

Boko Haram è esploso dal punto di vista mediatico con il rapimento delle 220 studentesse avvenuto ad aprile a Chibok. Una campagna internazionale (animata tra gli altri da Michelle Obama e dal premio Nobel Malala Yousafszai) ha chiesto il rilascio delle ragazze attraverso i social media, la rete e la televisione, trovando molti “compagni di strada” lungo il cammino. Proprio questa campagna ha aperto il dibattito sulla stessa necessità ed opportunità per “Bring Back our girls”, ridateci indietro le nostre ragazze. Secondo alcuni osservatori, questa mobilitazione è servita solo ai terroristi per avere ulteriore visibilità ma non è stata utile per il ritorno in libertà delle studentesse, date anzi in spose ai loro carcerieri. Oggi ci troviamo di fronte ad altre centinaia di persone rapite dai terroristi in altre parti del paese.

E’ giusto parlarne? E’ giusto illiminare questa periferia del mondo anche correndo il rischio che a guadagnarci siano solo i fondamentalisti che avranno uno spot di luce puntato solo su di loro? I media fanno insomma solo da grancassa ed amplificatore a Boko Haram? Nell’attesa che i posteri diano l’ardua sentenza, credo che non bisogna spegnere l’interruttore. Magari occupandoci più organicamente della Nigeria (che tra pochi mesi si appresta ad andare alle urne per scegliere il presidente) e con una maggiore continuità non solo dunque sull’onda emozionale che rischia di non darci uno sguardo sereno.


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