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Myanmar, con Aung Sab Su Kyi 2015 anno di speranza

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Il 2015 sarà l’anno della svolta democratica in Myanmar. Questo almeno è quanto ipotizzano analisti che seguono da vicino gli sviluppi geopolitici nell’ex Birmania e auspicano leader mondiali del calibro di Barak Obama. Tra fine ottobre e inizio di novembre del 2015 la maggioranza degli aventi diritto al voto nel Paese asiatico si recherà con ottimismo alle urne per le elezioni generali parlamentari. Sarà la prima tornata elettorale aperta alle opposizioni politiche dal 1990, anno che vide contrapporsi la Lega Nazionale per la Democrazia ai militari al governo. Il partito, fondato due anni prima e guidato da Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San uno dei simboli della lotta per l’indipendenza del Myanmar, ottenne il 59% dei voti e 392 seggi su 492. Il clamoroso successo della San Su Kyi scatenò la reazione del regime  che impedì l’insediamento del nuovo parlamento e arrestò la leader e uccise molti esponenti dell’opposizione.

Poi, nel 2012, il popolo birmano ha ricominciato a sperare dopo un voto storico in aprile che ha visto vincere il premio Nobel per la pace, che ha passato 15 anni tra carcere e arresti domiciliari, le elezioni suppletive al termine di un anno di forti cambiamenti nel Paese. Negli ultimi due anni sono stati rilasciati molti prigionieri politici, ci sono stati colloqui con ribelli di minoranze etniche e si è allentata la censura sui media.

Prospettive ben diverse di quelle del 2010 quando, nonostante le pressioni di UE e ONU le aspettative di un’apertura verso il processo democratico non furono confermate. Negli ultimi mesi qualcosa sta cambiando. Le modifiche proposte alla costituzione birmana, la nuova legge elettorale e le stesse azioni della giunta militare sono segnali positivi che autorizzano a credere che le recenti richieste e gli appelli della comunità internazionale non siano cadute nel vuoto. Ma non sono stati solo i tour diplomatici e dei rappresentanti delle agenzie ONU, che si sono alternati negli ultimi anni in Birmania, a convincere la giunta che questa volta le elezioni dovranno essere vere, libere ed eque. E’ stata soprattutto la spinta interna, mai così forte e compatta, a pretendere che il voto del prossimo anno non si trasformi in una farsa per garantire la transizione da una dittatura militare a una dittatura civile, nella speranza che un parlamento ‘democratico’ solo di facciata e funzionari di governo in abiti civili invece in uniformi militari, siano sufficienti a persuadere la comunità internazionale a revocare le sanzioni e ad allentare la pressione diplomatica.

Nonostante l’ottimismo per il futuro politico dell’ex Birmania resta però la preoccupazione per alcune iniziative legislative del regime, lesive dei fondamentali diritti dell’uomo. Come il progetto di legge sui matrimoni interreligiosi che obbligano le donne a sposarsi unicamente con uomini della stessa fede, violando la libertà di scelta. Provvedimenti come questo, diretti a garantire la protezione della razza e della religione nazionale, alimentano il nazionalismo e i conflitti contro la minoranza musulmana. E’ necessaria, dunque, una forte pressione internazionale non solo per ottenere garanzie in vista delle prossime elezioni ma anche sul tema dei diritti umani.

Bisogna sostenere con grande convinzione la transizione al processo democratico del Myanmar, che con la figura di Aung San Suu Kyi potrebbe rappresentare un esempio per le democrazie occidentali affaticate e indebolite. Ci troviamo di fronte a un primo, importante, passo ma la situazione rimane complicata  e non priva di rischi. Il popolo birmano vive con trepidazione e speranza l’attesa delle riforme. Per questo è oltremodo efficace e importante l’identificazione di una donna con il suo popolo non solo come concetto astratto o di principio ma anche come l’emozione incarnata in un’intera collettività, nella sua storia e nel suo bisogno di realtà democratica.

Aung San Suu Kyi vive la democrazia nella sua radicalità come scelta esigente. Vive la concentrazione e non la dissipazione, il sacrificio e non il privilegio, la dignità e non la volgarità. Si è nutrita di silenzio, di ascolto e per questo la sua voce oggi è così forte e ascoltata.


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