Quando il Partito diventa liquido, quando le sezioni chiudono, quando non c’è più quello che una volta si chiamava il “controllo del territorio”, quando la base del partito non ha più una agorà di controllo degli amministratori, ecco… in questi casi c’è il terreno fertile che porta alla nascita dei Salvatore Buzzi. E sono i casi in cui non riesci più a capire con chi ti stai sedendo a cena, a chi stai stringendo la mano, con chi ti stai facendo un selfie. In Transatlantico si parla anche di questo. E i nemici dell’Italicum 2.0 dicono: “Si tolgono le preferenze per avere un maggiore controllo di chi si candida, per evitare che le mafie ti eleggano persone in lista facendo arrivare i loro voti a chi ha già deciso di collaborare con la criminalità. E questo è il risultato”.
Per una volta ne esce bene la stampa. Sono anni che si raccontava sulle pagine dei giornali che la giunta di Gianni Alemanno aveva amministrato grazie ad un accordo poco trasparente. E una parola, anche nel corso di quella consiliatura di destra, risuonava negli articoli: consociativismo. L’opposizione alla giunta Alemanno da parte del Pd non fu “dura e pura”. Roberto Morassut ricorda che nel partito si aprì anche una discussione forte su come fare opposizione. Una discussione che non arrivò fino in fondo. Ma quella parola, consociativismo, Morassut non la vuole nemmeno sentire per le giunte precedenti: quelle di Francesco Rutelli e Walter Veltroni.
“Furono quindici anni di governo e di potere ben gestito. Anni in cui non ci furono inchieste. Con Alemanno, nel 2008, le inchieste arrivano. Con Rutelli e Veltroni Roma ebbe una crescita economica, sociale, acquisì importanti ruoli a livello internazionale – ci dice – fu veramente una capitale europea della cultura. Con Alemanno non fu così”.
Difende l’esperienza di governo del centrosinistra, Morassut. E poi pensa al partito. “Serve un congresso, il tesseramento non va azzerato ma di sicuro vanno verificate le tessere e tolte quelle non pure”. Ci sono tessere di comodo, dentro il Pd romano. “Bisogna rimettere al centro i programmi e le persone, riportare nel partito quelle persone che si sono allontanate perché stanchi delle guerre tra tribù”. Saranno giorni difficili per il Pd.
“Ma sarebbe assurdo sciogliere un Consiglio come quello di Roma che con Ignazio Marino ha fatto sì che emergessero corruzione e quello a cui stiamo assistendo”, conclude Morassut.
Qualche ora prima Giovanni Tizian, alla Fiera del libro della piccola e media editoria, intervista la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Il tema è quello della presenza della mafia “invisibile” a Milano e a Roma. “Quando abbiamo fissato questa intervista – esordisce la pasionaria del Pd – non sapevamo che si sarebbe arrivati a farla in un clima di questo tipo”.
Ma poi afferma che i segnali c’erano. La Commissione, qualche mese fa, aveva ascoltato in audizione proprio il Procuratore Pignatone. Lui, all’antimafia, aveva descritto come si stava organizzando e come agiva la mafia nella Capitale. E lei, Rosy, a fine audizione aveva detto “ma allora la politica è coinvolta?”. Pignatone rispose: “La risposta la potrà avere fra qualche mese”. La Bindi, poi, racconta di un sms arrivato sul suo cellulare la mattina del 3 dicembre, quando il bubbone di Mafia Capitale scoppia: “E’ arrivata la risposta!”, le scrive il Procuratore.
A fine intervista la Presidente Bindi si ferma per le classiche dichiarazioni a margine.
C’è chi parla di Commissariamento e chi addirittura di scioglimento del Comune…
“Sarebbe sbagliato dire ora che il Comune non deve essere sciolto. Bisogna vedere quale sarà il lavoro dei magistrati, come procederà l’inchiesta. Sono convinta, però, che Ignazio Marino oltre all’aiuto di Cantone potrebbe avere bisogno anche dell’aiuto di una task force che lo affianchi per riuscire a superare questa fase. Il Comune di Roma è esteso, ci sono molti municipi. Non è semplice superare da soli questa situazione, non è semplice comprendere dove si annidano gli invisibili. Serve aiuto per individuare chi ha sbagliato e fare pulizia”.
Ma Bindi, lei pensa anche al Partito, al suo Partito?
“Io penso che se i partiti, invece di stare nelle stanze a litigare se è più potente una corrente o l’altra fossero nelle periferie, si accorgerebbero di chi delinque, come è avvenuto in questi anni a Roma. C’è invece da tempo questo vizio ad appartarsi e così non ci si accorge di chi ti si siede accanto. Nel momento in cui si scoprono collusioni così significative, mi pare evidente dover chiedere al mio partito di fare un lavoro serio al suo interno, non solo per eliminare i rami secchi, ma anche per interrogarsi su come si è Partito in una grande città come Roma. La periferia di Roma e la gestione delle sue sfide, a partire dall’immigrazione, se trova la politica latitante vede la mafia presente”.
E’ questione di classe dirigente?
“La politica dovrebbe essere capace di selezionarla ben prima che intervengano i magistrati”.
Ora come procederete con i lavori dell’antimafia sulla vicenda romana?
“Indagheremo a fondo su quanto è successo, sul rapporto tra mafia e politica e nei prossimi giorni, oltre ad ascoltare di nuovo il Procuratore Pignatone, convocheremo il Prefetto, il sindaco, le forze politiche, gli imprenditori e le cooperative coinvolte nell’inchiesta. E sentiremo anche i segretari di partito”.