Pino Salerno
Promemoria per Matteo Renzi e M. Elena Boschi, i quali hanno attaccato il presidente della Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, colpevole di aver criticato, nel corso della Assemblea, i provvedimenti anticorruzione annunciati dal governo. Hanno detto che i magistrati si devono esprimere non con le parole ma con le sentenze. Al premier e alla ministra delle Riforme ricordiamo che esiste la Costituzione della Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, un testo che dovrebbero avere anche nei loro uffici. Al Titolo IV, la Magistratura, l’articolo 101 recita: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. L’articolo 104 è chiarissimo nel suo incipit: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Più chiari di così i padri costituenti non potevano essere. Insomma, i magistrati non sono dei “dipendenti” di Matteo Renzi, presidente del Consiglio e segretario del Pd, anche se lui non perde occasione per usare la frusta contro di loro.
Sabelli ( Anm): il testo del governo debole, controproducente, inadeguato
Veniamo ai fatti. Il presidente Sabelli giudica il testo annunciato dal governo “controproducente”, in quanto rischia di scoraggiare quei pochi che denunciano episodi di corruzione dal momento che non è previsto uno sconto di pena per i collaboratori di giustizia. “Debole”, “inadeguato” sulla prescrizione che va bloccata in primo grado e non soltanto sospesa. Mentre suona la gran cassa dei media, con dichiarazioni e interviste, il governo interviene subito per contrastare “Mafia Capitale”, ma dopo l’iniziativa del procuratore capo di Roma, arrivano anche le prime critiche. Non solo da parte di magistrati di ogni orientamento. Intervengono giuristi, costituzionalisti, professori, personalità del mondo della cultura politica. È vero che il “giglio magico” non gradisce, non è abituato a leggere, a confrontarsi. Renzi ha fatto scuola, al massimo un twitter, un hastag, un post su facebook è già uno sforzo, ma un qualcosina potrebbero anche leggere. Insomma, come si dice, farsi una cultura. Niente da fare. Per esempio potevano dare una occhiata ad una intervista di Carlo Nordio, viceprocuratore capo di Venezia, colui che ha nella,mani l’inchiesta sul Mose. Non una “toga rossa” di cui parlano Berlusconi e Verdini che di giustizia se ne intendono.
Nordio: l’inasprimento delle pene non ha mai prodotto diminuzione della criminalità
Dice Nordio intervistato da Virus, RaiDue, condotto da Porro, non da un pericoloso rivoluzionario: “In un sistema come il nostro dove i processi sono lenti, che è un sistema che si sfascerà del tutto il prossimo anno con la norma dei magistrati in pensione, nessuno patteggerà più se rischi la galera”. Lo interrompe il presidente del Pd, Matteo Orfini, che poteva fare a meno di dire una sciocchezza: “Nessuno è insostituibile”. Già ma quando tagli fuori, tutti insieme, centinaia di capi delle Procure, di tanti uffici giudiziari non ti inventi in un giorno il giovanotto che prenderà il loro posto. Riprende Nordio: “Il sistema penale è complesso e necessita di organicità e sistematicità. Si promulgano leggi sull’onda emotiva. Questo crea ingestibilità del sistema penale. L’inasprimento delle pene non ha mai prodotto una diminuzione della criminalità. Per quanto riguarda la corruzione, ci sono tre modi per combatterla: minacciare pene più aspre, dotare le indagini di nuovi strumenti processuali, disarmare la corruzione degli strumenti che la diffondono. Quest’ultimo modo è quello che propongo io”. Non solo, a proposito di quanto annunciato dal governo si scopre una “perla”. Una norma transitoria annuncia: “Le disposizioni si applicano ai fatti successivamente commessi all’entrata in vigore della presente legge. La norma più importante, sbandierata dal governo, non si applica all’inchiesta sulla mafia a Roma.
La ministra Boschi intima: i magistrati non commentino le leggi
La relazione di Sabelli smonta il bluff del governo. Il tempo di leggere i primi resoconti delle agenzie di stampa ed ecco la ministra Boschi parte lancia in resta. Ci tiene a far sapere che parla anche come avvocato, mica poco. È molto irritata. Non ci pensa su due volte: “I magistrati applichino le leggi anziché commentarle. Le leggi le scrive il Parlamento”. Ci mancherebbe, Però a noi pare che le scriva il governo. Basta pensare ai voti di fiducia che hanno superato la trentina o alla sorte subita dalla legge di stabilità, un vicenda vergognosa con i senatori, voto di fiducia, costretti ad approvare un testo che non conoscevano, il famoso maxiemendamento che non arrivava mai, pieno di strafalcioni, di errori anche di battitura, corretti mentre la seduta era in corso. Uno sfregio al Parlamento. Si poteva pensare che Renzi, per una volta, volesse correggere la sua ministra che vuole togliere al magistrato-cittadino la facoltà di parlare. Sabelli aveva sottolineato: “Una magistratura che parla e offre il suo contributo è democrazia”.
Renzi rincara: i magistrati non devono parlare
Renzi invece è andato giù con il bastone: “Provo il massimo rispetto per i magistrati quando giudicano e fanno le sentenze. Ma preferisco i magistrati che parlano con indagini e sentenze a quelli che parlano con comunicati stampa. Un magistrato deve scrivere le sentenze, le leggi le fa il Parlamento”. Chi non è d’accordo con lui è un nemico. I magistrati fra i primi insieme ai sindacati, ai lavoratori che scioperano, ai pensionati che protestano, ai giovani, agli studenti che manifestano, alle personalità del mondo della cultura che scrivono, dibattono, si confrontano. Ci poniamo una domanda. Visto che il Presidente della Repubblica ha molto elogiato in questi giorni la politica, il coraggio di Renzi, visto anche che presiede il Consiglio superiore della Magistratura, potrebbe dire qualcosa, magari anche solo un buffetto sulle guance del giovin signore?
Il “rottamatore” torna al 1909, primi attacchi alla associazione dei magistrati
Abbiamo finito? No, rileggendo l’intervento di Sabelli ci ha colpito un passaggio. Dice il presidente dell’Anm che già nel 1909 un ministro della Giustizia voleva i magistrati silenti. Siamo al 13 giugno di quell’anno quando a Milano nasce l’Associazione Generale fra i Magistrati d’Italia: nel settembre 1911 i soci ammontavano già a 1.700 per raggiungere nell’aprile 1914 il numero di 2.067. Il primo Congresso Nazionale della Magistratura si svolse in una sala di Castel Sant’Angelo, 592 partecipanti .Lo statuto provvisorio dell’Agmi affermava: “è escluso ogni carattere e fine politico”. Subito arriva l’ostilità del Guardasigilli, Vittorio Emanuele Orlando, che già nell’agosto del 1907 aveva diramato una circolare ai capi delle Corti nella quale rilevava con rammarico la diffusione tra i magistrati del “costume di pubblicamente interloquire intorno a questioni attinenti l’esercizio dell’ufficio loro, sia sotto forma di interviste, sia con lettere o con articoli” e concludeva minacciando sanzioni in caso di abusi. Lo stesso ministro in un’intervista al “Corriere d’Italia” del 23 agosto 1909 a proposito della fondazione dell’Agmi, aveva espresso “dubbi gravissimi” sulla possibilità che l’associazione svolgesse un ruolo utile. Guarda guarda, si scopre che il rottamatore, l’innovatore, nei confronti dei magistrati ha le stesse posizioni dei governi dell’inizio del Novecento. In fondo questo avviene anche per il Jobs Act. Tutto in linea con la tradizione.
Da jobsnews.it