New York, Barletta. A cento anni e oltre settemila chilometri di distanza. Due storie tragiche. Di schiavitù, di precarietà nel lavoro, di negazione dei diritti più elementari. Due storie di donne che hanno perso la vita, le prime arse in un incendio devastante e le altre seppellite sotto le macerie. Due stragi del lavoro e della dignità raccontate con cura e passione dalla regista Costanza Quatriglio (nella foto), nel film “Triangle” – questo il nome della fabbrica che prese fuoco il 25 marzo 1911 a New York – una produzione Doclab, Factory Film con Rai Cinema e in associazione con Istituto Luce Cinecittà che uscirà nelle sale agli inizi del prossimo anno. La regista, spiega la genesi del suo film che ha recentemente ricevuto il premio Cipputi al 32esimoTorino Film Festival, nella sezione Diritti & Rovesci curata da Paolo Virzì.
Com’è nata l’idea del film?
Nel 2012 la Factory Film mi ha chiamata per visionare alcuni materiali relativi all’incendio della “Triangle”, la fabbrica che prese fuoco nel 1911 a New York in un incendio divampato all’ottavo piano di un grattacielo nel cuore di Downtown, a Washington Square. Le operaie tessili chiuse a chiave dai padroni per paura che potessero rubare qualcosa. E quando l’incendio si scatena queste donne muoiono asfissiate o si lanciano nel vuoto. E’ nel visionare questi materiali – con l’intento di fare un film mettendo a fuoco soprattutto la questione delle donne emigranti italiane che hanno perso la vita in quella fabbrica – che mi viene la scintilla di mettere in relazione questa vicenda con il crollo della palazzina a Barletta che nel 2011 costò la vita a cinque donne. Esattamente cento anni dopo. Questa intuizione è stata la premessa per realizzare il film.
La necessità di non cancellare la memoria è la chiave che lega le due storie?
Conservare la memoria è una necessità inderogabile ma l’intento era anche quello di mettere in relazione queste due storie con l’oggi, per puntate l’attenzione su quanto, la metrica del lavoro nell’epoca della post globalizzazione discenda totalmente dalle premesse di quel capitalismo e delle dinamiche di forza dal taylorismo in poi. Taylorista era la fabbrica con il cronometrista che diceva alle operaie come dovevano stare con la schiena e quanti pezzi dovevano assemblare ogni ora.
Donne senza diritti.
Di più, donne che lavoravano a cottimo, in nero senza neanche la percezione di avere dei diritti. Senza tutele, senza una retribuzione equa. E in quanto donne doppiamente invisibili.
Il film non ha attori veri e propri. La protagonista Mariella Fasanella è una sopravvissuta dell’incidente di Barletta
Parlerei di testimoni più che di attori. Per quanto riguarda la parte relativa all’incendio della “Triangle” mi sono affidata alle testimonianze originali delle sopravvissute, registrate quaranta anni dopo a New York . Nel crollo della palazzina di Barletta sono morte 5 donne – quattro operaie e la figlia quattordicenne del titolare – ma è stata estratta viva dalle macerie Mariella Fasanella. Come se venisse dall’aldilà. Una potenza della testimonianza insuperabile. Perché racconta la verità delle cose. Il dolore ma anche le dinamiche del lavoro della fabbrica. E che rivendica con orgoglio la propria condizione di operaia, il fatto di non essersi mai sbagliata nel lavoro perché si concentra su ciò che fa.
Il tuo film precedente “Con il fiato sospeso” raccontava la vicenda delle morti sospette in quello che è stato definito il laboratorio dei veleni dell’ex facoltà di Farmacia di Catania. Il tema della “sicurezza sul lavoro” rappresenta un punto di contatto fra i due film.
I punti di contatto sono sicuramente numerosi. Innanzitutto perché i due film sono stati fatti quasi contemporaneamente. E’ evidente poi che la questione della sicurezza è comune al laboratorio di chimica di “Con il fiato sospeso” e alla fabbrica di “Triangle”. Ma soprattutto perché al centro di entrambi i film c’è il tema dello smarrimento più totale. L’essere umano che non ha intorno nulla che protegga sé stesso o i proprio simili. E ambedue i film raccontano la devozione “al saper fare” e l’attaccamento per il proprio lavoro. L’amore che la giovane ricercatrice Stella (la protagonista de “Con il fiato sospeso”, ndr) ha per le molecole è lo stesso di Mariella, operaia che ha cominciato a lavorare a dodici anni e che ama follemente le sue macchine da cucire. Mariella assume su di se il peso di più di cento anni di storia di movimento operaio. Senza saperlo.
* pubblicata sul Radiocorriere Tv