“Antonella sono Pino Mango. Mi sono fatto dare il tuo numero da Arianna.” Pino Mango… Pino Mango… Conosco troppa gente, mannaggia me. Chi è adesso Pino Mango?
La voce al telefono continua a parlare. “Vedo abitualmente una trasmissione su Raiuno che si chiama Settenote. Mi piace moltissimo e vorrei partecipare anch’io. Arianna mi ha detto che te occupi tu.” Ormai il timbro mi era chiaro. Cavolo. Stavo parlando proprio con lui: Mango, il cantante, la voce di Bella D’estate, di Oro, di Lei verrà… Mango il mito della mia adolescenza, l’artista un po’ defilato – mai un pettegolezzo sul suo conto, mai un gossip, sempre e solo grandi concerti, performance generosissime accompagnate da cori di fan – vuole essere intervistato da me, ultima arrivata del programma?
Rispondo balbettando “Maestro siamo onorati di averla protagonista di una nostra puntata. Marzullo ne sarà felice.”
Pochi giorni dopo lo incontro all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Non lo avevo mai avvicinato, neppure dopo i concerti, credendolo schivo e distante, con la stupida paura che spesso hanno quelli che amano oltremodo un artista: “E se poi conoscere la persona mi delude?”.
Non mi deluse al punto che mi pentii amaramente di non aver fatto nulla per conoscerlo prima. Una anima nobilissima, delicata, affettuosa, gentile come sono gentili i veri cavalieri del sud, con quei modi delicati di trattare le donne, contemplando le loro espressioni come opere d’arte. Più tardi scoprii dalle sue parole che all’apice di quella contemplazione della donna c’era ‘ la sua Sposa’, Laura Valente, la compagna amatissima, alla quale riservava note di grazia, stima, ammirazione, come se se ne fosse innamorato il giorno prima.
Da pochi mesi era uscito il suo album ‘La terra degli aquiloni’, un’opera elegante, un sound sorprendente, pulito, accattivante. Ritmi e melodie che non avevano nulla da invidiare ai suoi successi degli anni Ottanta e Novanta, con cui il grande pubblico identifica Mango: quelli da cantare a squarciagola, con lui, nei live. Eppure questo disco era uscito un po’ in sordina. Viaggiava, ma troppo in silenzio per la qualità dei brani.
Alla sua si univano le grandi firme di Pasquale Panella, Maurizio Fabrizio, Guido Morra. La straordinaria chitarra di Carlo De Bei, l’omaggio a Carlos Gardel con una sentita interpretazione di Volver, la partecipazione dei figli Filippo e Angelina impreziosivano il lavoro. Orchestrazioni perfette. Insomma un album che aveva tutti gli ingredienti per interessare pubblico e critica e per farsi “Rifugio” di chi ama la musica vera, quella che non ti stanca mai, quella che vuoi imparare a memoria.
La prima domanda che gli feci – a telecamere spente – fu “ma perché questo disco non ci tormenta nelle radio? Perché non ha il clamore che merita? È perfetto.”
Ci sono artisti che a simili start fanno seguire lunghi lamenti, accuse a questo e quello, sfogando ogni eventuale torto subito ed elencando tutti i mali della musica e della discografia.
Mango no. Senza nascondere qualche amarezza, mi rispose con una eleganza fuori dal comune, con una invidiabile serenità e l’equilibrio del saggio. Sapeva di aver fatto un ottimo lavoro. Era fiero di ogni traccia, di ogni esecuzione, di ogni parola. La sua ‘terra degli aquiloni’ era apprezzata dai fan, amata da chi aveva condiviso musicalmente il progetto con lui, ed era terra vissuta, calpestata coi passi della sua maturità. C’era onesta intellettuale.
L’intervista fu tutta pervasa di bellezza, candore, critica fattiva, progettualità, entusiasmo.
Il suo entusiasmo contagiò, in post-produzione, sia me che la montatrice. Ricordo che dedicammo a quella puntata più amore del solito. Lui ci trascinava, con le sue parole, in un mondo ideale, pulito, sognante e noi sentivamo la responsabilità di rendergli merito, di onorare la sua carriera e la sua anima con il nostro massimo impegno. Volevamo che gli spettatori ricevessero le stesse emozioni trasmesse da Mango nel nostro incontro.
Il giorno dopo la messa in onda verso le due del pomeriggio squillò il mio telefono.
“Antonella sono Pino. ( questa volta amichevolmente non aggiunse Mango). Volevo ringraziarvi perché è la cosa più bella che abbia fatto la Rai per me… C’erano amore, rispetto, verità. Lo stesso amore, lo stesso rispetto e la stessa verità che netto nella mia musica.”
Mango mi rinnovò l’invito al suo concerto capitolino e si scusò per avermi chiamata in un orario probabilmente destinato al pranzo o al riposo.
Mango si scusava. Con me! Come se quella telefonata potesse darmi noia, non sapendo che certe cose nel nostro mestiere sono ‘oro’.
Si scusava con umiltà e rispetto riconoscendo nella mia professionalità il rispetto della sua.
Ti voglio ricordare così, Pino.
Delicato, sensibile, umile, rispettoso e vero. Ti voglio ricordare con il sorriso con cui mi hai accolto nel camerino dopo il tuo favoloso concerto unplugget all’Auditorium della Conciliazione.
La tua musica non ha bisogno di commenti, ma solo di essere ascoltata e tornare a suonare nelle radio come le tue hit, perché ogni brano della tua vasta produzione ha un preciso e chiaro linguaggio degno di successo.
La tua musica parlerà per sempre e non avrà mai bisogno di scusarsi d’esistere perché è nata libera e pulita come il tuo cuore.
Hai avuto un cuore troppo grande per accogliere il volo dei tuoi aquiloni e delle rondini, l’amore di Laura, dei tuoi figli e di ogni fan, ma anche troppo fragile per resistere alla tempesta del destino infausto che ieri ci ha privato della tua voce straordinaria e unica, del tuo sguardo limpido, della tua generosità.
Pino, scusaci tu, se in questa terra senza aquiloni non abbiamo rispettato abbastanza il tuo volo di rondine.