Il 10 dicembre del 1948 i membri rappresentanti delle Nazioni Unite firmarono a Parigi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, un codice etico elaborato sul solco dei grandi trattati umanitari nazionali. Il lacerante ricordo delle guerre mondiali indusse le potenze vincitrici a riconoscere la necessità di attribuire un valore giuridicamente internazionale ad una serie di principi fondamentali. Tra i tanti diritti inalienabili, la libertà d’espressione ricevette specifica tutela ai sensi dell’art. 19:
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
La stessa dichiarazione annovera la libertà di parola come una delle “più alte aspirazioni dell’uomo”, intesa come la possibilità di dare e ricevere informazioni senza incorrere in azioni di censura o repressione.
In realtà, a distanza di tanti anni, in molti paesi, tali aspirazioni si sono rivelate semplici desideri senza possibilità di sbocco.
Il 16 dicembre 2014 l’associazione non-governativa Reporter Sans Frontières ha redatto l’annuale bilancio sulla libertà d’informazione mondiale. L’indagine considera un campione di 180 paesi per i quali viene stilata una classifica che analizza la condizione attuale in relazione alle statistiche delle edizioni precedenti.
In termini generali, il 2014 ha fatto registrare:
– 66 giornalisti uccisi (720 negli ultimi 10 anni);
– 119 rapiti, aumento del 35% rispetto al 2013 (40 sono ancora in ostaggio);
– 178 in carcere;
Alcuni fattori esogeni hanno fortemente condizionato i parametri locali:
– Il conflitto di interessi tra sicurezza nazionale e libertà d’espressione;
– Le zone di guerra, strette nel pugno delle associazioni terroristiche;
– Autocensura per paura delle ritorsione del crimine organizzato.
Anche l’indice della libertà di stampa parla di un lento degrado del sistema informativo: il pluralismo mediatico è un fenomeno sempre più raro, mentre la regolamentazione giuridica nazionale sembra sottovalutare l’entità del problema.
Al di là delle singole variazioni, il quadro complessivo si conferma affine al ranking del 2013. La Finlandia mantiene la vette, ma tutti i paesi del nord Europa confermano un occhio di riguardo nei confronti dei diritti umani. Sul fondo, il “trio infernale”: Eritrea, Corea del nord e Turkmenistan, paesi in cui la libertà d’espressione non è nemmeno contemplata.
Nota di merito infine per l’Italia che, pur ristagnando a centro graduatoria, guadagna otto posizioni rispetto all’anno precedente e si colloca al 49° posto.
Il bilancio 2014 si arricchisce tuttavia di una concreta voglia di cambiamento. Dopo la risoluzione per la tutela della sicurezza dei giornalisti approvata dall’ONU il 26 novembre 2013, quest’anno, in data 2 novembre, è stata festeggiata la prima Giornata Internazionale della fine delle impunità per i crimini contro i giornalisti.
La comunità internazionale ha alzato la voce e l’Onu ha ribadito la “condanna di ogni tipo di attacco o violenza contro i giornalisti, come la tortura, l’omicidio, i rapimenti, le intimidazioni, in situazioni di conflitto o di pace”.
Il lenta marcia verso la libertà d’espressione continua, nella speranza che un giorno, dopo il tanto rivendicare, “la più alta aspirazione dell’uomo” possa divenire realtà.
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