80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Gli italiani che combattono in Siria in nome della Jiad

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Finalmente abbiamo notizie precise sul manipolo di italiani di nascita (o naturalizzati) combattono in Siria in nome della Jiad contro l’Occidente e le truppe della coalizione che combatte contro il Califfato dell’ISIS, con al terna fortuna,  in Medio Oriente. Sono una quarantina, hanno tra i diciannove  e i quarantadue anni  e provengono da molte zone del nostro Paese: dal Nord come  Torino, Milano, Biella, Como, Cantù, Bologna,  Modena e Mantova  ma anche da Napoli e da Comiso, in Sicilia. Si  chiamano con i nomi a cui siamo abitati nella nostra vita quotidiana: Filippo, Massimiliano, Fabio, Giampietro, Sergio, Donoue. Hanno risposto  alla “dawa“, la chiamata della Jiad e, nel nome di Allah e della lotta contro l’Occidente, sono diventati foreign fighters  tra il 2013 e il 2014.

Se cerchiamo di ricostruire l’intero universo degli jiadisti che combattono  tra Siria e Iraq per il Califfato islamista scopriamo che il numero più alto di jiadisti viene da Paesi dove è diffusa la religione maomettana e più vicini al  come il Regno Unito(488),il Marocco (1500),la Tunisia(3000),la Libia(556),la Russia(800), il Libano(890), l’Arabia Saudita(2500),la Giordania (2089),il Pakistan(300), l’Australia(250) ma che sono presenti, magari in numero minore che in Italia, in Stati anche più piccoli come il Kuwait, il Baharain , il Quatar e molti altri che qui non c’è lo spazio per parlarne. E’ abbastanza chiaro che una simile fede e scelta di combatte re non nasce soltanto soltanto dalla conversione religiosa ma anche dalla situazione politica, culturale, sociale ed economica dei Paesi da cui provengono: Paesi che non hanno risolto problemi fondamentali per le nuove generazioni ed espongono i propri giovani a prospettive incerte sul loro futuro.

Potrebbe essere il caso anche dei quarantadue  italiani, o naturalizzati tali che vivono un momento non solo di grande difficoltà economica e sociale del Paese ma anche di incertezze nel mondo del lavoro che spesso non dà loro le opportunità concesse alle più anziane generazioni.  Proprio nei giorni scorsi, leggendo il Rapporto n. 48 che il Censis di Giuseppe De Rita ha appena pubblicato sulla situazione sociale dell’Italia mi sono chiesto, infatti, co me fanno persone molto giovani, e magari non sufficientemente  istruite, ad orientarsi in un Paese che va di frequente alle elezioni ma subito dopo si rende conto che i problemi non sono stati ancora risolti e così via dicendo. Insomma, che il nostro non sia un Paese facile è osservazione molto diffusa ma facciamo fino in fondo i conti con le nostre nuove generazioni. E’ questo, mi pare, l’interrogativo che dovremmo porci in questi difficili tempi tra la fine del 2014 e il nuovo anno che avanza in maniera inesorabile.


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