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Erdogan chiude le porte all’Europa e alla libertà di espressione

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Qualche settimana fa, in un’intervista al quotidiano Hurriyet, il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, aveva dichiarato: “La cosa peggiore è che c’è un clima di paura. Trovo che tutti abbiano paura, questo non è normale. La libertà di espressione è giunta a un livello molto basso”. E riferendosi in particolare ai giornalisti aveva aggiunto: “Molti miei amici mi hanno detto che loro colleghi hanno perso il posto di lavoro. Adesso, persino reporter vicini al governo hanno iniziato a essere infastiditi”. Fehtullah Gulen, uno scrittore mussulmano forse ancor più popolare di Pamuk presso i suoi compatrioti,  è come quest’ultimo aperto al dialogo con l’Europa e con l’Occidente in generale. Quanto riferisce qui sotto Giorgio Santelli sulla inimicizia del premier turco Erdogan nei suoi confronti non credo sia dovuto a una vendetta personale o a rivalità di potere con Gulen e i suoi numerosi sostenitori. Ci preoccupa soprattutto perché è segno del progressivo allontanamento dall’Europa di una  Turchia sempre più sensibile al richiamo di una rivincita islamica. «L’Occidente non ci ama – ha ripetuto Erdogan soltanto qualche settimana fa –  vuole solo sfruttare le nostre ricchezze ed è per questo che si interessa dei conflitti in Medio Oriente”. Illudersi che questo linguaggio non faccia presa in tutto il Medio Oriente di oggi, sarebbe ingenuo e, quel che peggio, suicida. Contrastare chi uccide la libertà di stampa in Turchia come in altri paesi è un dovere per Articolo 21 come per tutti i democratici. Purché sia chiara sempre la complessità del contesto. E alla denuncia si accompagni la consapevolezza che – come non si stanca di ammonirci, con le parole e coi gesti, Papa Francesco –  soffiare sul fuoco delle divisioni politiche e religiose vuol dire dare una mano a chi dall’una e dall’altra parte appare sempre più determinato a procedere nella politica folle di uno scontro di civiltà (nandocan). 

***Erdogan si vendica e uccide la libertà di stampa in Turchia – di , 14 dicembre 2014* – Con i 23 arresti di oggi in Turchia salgono a 63 i giornalisti incarcerati nel Paese che chiede, da tempo, di entrare in Europa. Recep Tayyp Erdogan l’aveva promesso un anno fa e oggi, da presidente, si vendica del suo acerrimo nemico, Fehtullah Gulen, 72 anni, scrittore e filosofo, ex imam e predicatore, da anni in esilio volontario negli Stati Uniti. La polizia turca ha effettuato una serie di arresti nell’ambito di un’operazione contro esponenti politici e giornalisti legati a Gulen. Il blitz, compiuto in 13 città turche ha condotto in carcere almeno 24 persone, compresi i dirigenti di un canale televisivo vicino a Gulen. E in manette è finito anche Ekrem Dumanli, direttore del quotidiano Zaman. In totale sarebbero stati spiccati 32 mandati di cattura.

Il blitz rappresenta una escalation nella guerra tra Erdogan e Gulen, accusato dal primo di aver ordito da tempo una trama golpista utilizzando la propria influenza su magistrati, poliziotti e giornalisti che diede vita a una maxi inchiesta giudiziaria sul cerchio magico del presidente e scaturì in una serie di arresti il 17 dicembre di un anno fa. In carcere è finito, tra gli altri, Tufan Urguder, ex capo dell’antiterrorismo di Istanbul.

Ma è l’arresto di Dumanli che rischia di trasformarsi in un autogol mediatico. Il giornalista è stato infatti trasferito in caserma sotto gli occhi di tantissimi sostenitori che già si erano radunati sotto la sede del quotidiano per protestare contro una prima perquisizione avvenuta in mattinata. “Noi non abbiamo paura”, ha avuto modo di dire Dumanli di fronte alle telecamere. “Hanno paura  – ha aggiunto – coloro hanno commesso un crimine”. Per tutti l’accusa, ha spiegato il procuratore capo della città del Bosforo, Hadi Salihoglu, è di “aver messo in piedi un gruppo terrorista” e di aver propalato falsità e calunnie. Da tempo Erdogan denuncia l’esistenza di una “struttura parallela” di Gulen all’interno dello Stato sebbene il predicatore abbia sempre negato di voler rovesciare il governo, e secondo Fuat Avni, anonimo profilo Twitter che aveva anticipato di qualche giorno la notizia dell’operazione, in cima alla lista dei mandati di cattura c’è proprio Fethullah Gulen.

L’opposizione parlamentare è in tensione: “E’ un golpe del governo”, ha detto il capo del kemalista Chp Kemal Kilicdaroglu. “E’ un golpe -ha sottolineato – contro la nostra democrazia”.

Nell’ultima classifica di Reporeters Sans Frontieres la Turchia è al 148esimo posto fra i Paesi per la libertà di stampa sui 176 monitorati . Con questi arresti arriva a posizioni ben più profonde. Matteo Renzi è tornato da una visita in Turchia qualche giorno fa ma il tema della libertà di stampa non uscì nel corso delle dichiarazioni da Istambul.

Le ultime dichiarazioni sul tema di un Presidente del Consiglio italiano furono quelle di Mario Montiche, nell’aprile del 2012 nel corso di una bilaterale chiese ad Erdogan, provocando scobcerto, a che punto era il cammino verso la libertà di stampa in Turchia. Gli arresti di oggi dimostrano che sono stati fatti solo passi indietro.

*da articolo 21, il grassetto è di nandocan

 


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