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Diffamazione, un grave errore ormai imminente

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Le voci di corridoio dicono che la cosa è ormai imminente.   Sembra, a conoscere le cose meno raccontate in lungo e in largo sui canali televisivi o negli editoriali di quotidiani e settimanali, che -malgrado mugugni di singoli parlamentari o di piccole forze politiche messe ai margini delle scelte, ormai ci si avvicini a grandi passi al  varo della nuova legge italiana sulla diffamazione che è pronta a colpire (e lo scrive oggi Liana Milella su La Repubblica, cioè dal mio punto di vista una fonte abbastanza seria e attendibile)allo stesso modo giornali e siti web, impedendo agli uni e agli altri di far cronaca veritiera su quel che accade, soprattutto in campo politico ed economico, i due campi che interessano davvero e a fornire giudizi e interpretazioni sulla realtà in movimento. La Milella ci aiuta a porre le domande essenziali che chi scrive e anche altri avevano già posto nelle scorse settimane in questa sede e altri organi democratici e di sinistra. Ci si chiede prima di tutto se la nuova legge è necessaria. La seconda è questa: per evitare il carcere che sarebbe finalmente abolito per chi scrive sui giornali e sul web dovrebbero abolire un prezzo molto alto. E cioè disporsi a dover pagare una multa da 10 mila a 50 mila euro? E perché le rettifiche, secondo quel che è scritto nella legge, devono essere prese per oro colato e così pubblicate senza alcun commento? E ancora: non sono troppo pochi due giorni di tempo per pubblicare la rettifica a una notizia in parte non esatta? E ancora: è il caso di usare allo stesso modo i quotidiani, i libri, i siti web e i semplici  blog? E, infine, come si spiega che una simile legge che farebbe inorridire, a mio avviso, due autori che chi scrive conosce bene e a cui sempre si rifa quando affronta i temi dell’informazione, cioè il francese Alexis de Tocqueville e l’americano Walter Lippmann?

Si potrebbe continuare ancora ma forse le obiezioni già avanzate da più parti e da studiosi che a volte assumono posizioni anche diverse mostrano che è il caso per un partito che si chiama “democratico” e che, a ragione, è entrato negli organismi del socialismo internazionale, di non andare avanti e decidere di non approvare una legge così poco coerente con gli ideali della democrazia contemporanea e della libertà di informazione che di  questa democrazia resta senza dubbio alcuno uno  dei capisaldi essenziali.


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