Per il resto? Il Solito. La Stampa interroga due costituzionalisti e un giuslavorista sull’interpretazione (sic!) del decreto attuativo del jobs act, per cui la norma varrebbe solo per i dipendenti privati. Nessuno di loro si aspetta una bocciatura per incostituzionalità da parte della Consulta, ma tutti e tre pensano che la contraddizione non sia sostenibile. Dubbi pure sul diverso trattamento fra nuovi e vecchi assunti. Ecco che il Giornale accusa il premier di aver avuto “paura di tirare il calcio di rigore”, cioè di abiolire le tutele dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori per tutti, dipendenti vecchi e nuovi, pubblici e privati. E Renzi si lascia la porta aperta: “Se ne riparla con la riforma Madia”.
Insomma la polemica continua. Aver spogliato il Parlamento del suo ruolo e aver ottenuto una delega in bianco al governo, non sembra sia servito a granchè. Da tempo scrivo che la palla al piede dell’Italia è, da 20 anni, l’incapacità dei suoi governi. La mancanza di un’idea per il futuro dell’Italia e dell’Europa, la subalternità agli interessi del più forte, non volontà e incapacità di controllare la macchina burocratica e amministrativa. Così non si governa, si vivacchia alla giornata. E partiti che abbiamo avuto durante il ventennio berlusconiano si sono consapevolmente ridotti a nient’altro che apparati di governo. Fino a chiedere e imporre leggi elettorali anti democratiche e incostituzioanali come il Porcellum. La polemica prima berlusconiana, poi grillina e renziana, contro il Parlamento non è che un diversivo. Il tentativo di attizzare un trasfert nella pubblica opinione. Berlusconi, Monti, Letta, Renzi? No, la colpa è di Razzi e Scilipoti; se volete di Fassina e Mineo. “Gente che perde tempo per non perdere la poltrona”.
OK, ma ora che abbiamo il sindaco d’Italia, così efficiente e sicuro da riunire il suo consiglio per una notte intera, a Palazzo Madama, sotto Natale e di farsi votare ciò che vuole, ora va tutto bene? Non direi. Ci si interroga e ci si divide su di un decreto attuativo, se ne aspettano altri, ci saranno ricorsi, le riforme restano annunci. Certo il premier sembra aver fatto una scelta di campo. Dunque viene coccolato dagli imprenditori (ma con prudenza, direi con sovrano disincanto -leggete l’intervista di Rocca a Repubblica-) e viene contrastato dai rappresentanti dei lavoratori. Lo scontro è appena iniziato e si svolgerà fuori dalle aule del Parlamento. Ai Damiano e ai D’Attorre, ai Gotor e ai Fornaro, che sembrano avere ripensamenti sul jobs act che hanno votato, mi permetto di ricordare che il modello di riforma costituzionale ed elettorale in discussione è quello anticipato con il jobs act: il potere al governo del premier.
Diamanti spiega che gli italiani non si aspettano troppo dal 2015. Pensano che ci vorranno due anni e più per superare la crisi. Tra un regime autoritario e uno democratico preferiscono tuttavia i limiti della democrazia (66%). Anche senza partiti, per un 50%. No i partiti servono per il 44%. La Presidenza della Repubblica è l’istituzione che ha perso più credibilità tra il 2010 e il 2014: 27 punti in meno. Serve un presidente che garantisca meno i partiti e più i cittadini.
Fonte: Facebook