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“Emilia Romagna cose nostre – cronaca di un biennio di mafie in Regione”

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Undici mafie presenti sul territorio, un paradiso fiscale come San Marino dietro l’uscio, oltre 40 i beni confiscati, 8,6 % degli esercizi commerciali che paga il pizzo o è vittima di usura, 5192 le operazioni di riciclaggio di denaro sporco (nel 2008 erano 986), decuplicati, negli ultimi 4 anni, i casi di intimidazioni e minacce nei confronti degli uomini dello Stato, otto le auto andate a fuoco nella sola Reggio Emilia nell’ultimo mese in un contesto di “autocombustione” che vede un mezzo meccanico prendere fuoco ogni tre giorni in regione, territorio dove il 70% degli appalti pubblici viene assegnato con il regime del “sub appalto” e la quasi totalità con lo strumento del “massimo ribasso”, il gioco d’azzardo come collante di otto lustri di attività criminale.

Una regione dove per la pubblica opinione tutto sembra “occasionale”.

Di certo “occasionale” non è la presenza delle aziende mafiose nella gestione di opere pubbliche, tant’è che le mafie negli ultimi trent’anni gestiscono, tra le altre cose: la ristrutturazione della Pinacoteca Nazionale di Bologna, l’ampliamento e la ristrutturazione dell’aeroporto di Bologna e visto che c’erano dal 2004 al 2007 anche i servizi a terra dello stesso scalo e il progetto di ristrutturazione di Piazza Maggiore a Bologna. La discarica dei rifiuti di Poiatica nel comune di Carpiteti (Re): qui l’azienda, il gruppo Ciampà, ha da anni il certificato antimafia per smaltimento di sostanze tossiche ritirato in Calabria (operazione Black Mountains) e tranquillamente da anni continua a lavorare in Emilia Romagna. E ancora: realizzazione del sottopasso di collegamento di via Cristoni e Pertini oltre la Casa della Conoscenza di Casalecchio di Reno (Bo), alloggi e autorimesse a Budrio (Bo) e Forlì, case popolari a Bologna, Reggio Emilia e Modena. Le aziende delle cosche hanno bei nomi: Icla, Promoter, Ciampà, Doro Group, Enea e spesso buoni soci, CCC, SaB, Gruppo Ferruzzi, Acer. Come chicca finale le mafie stesse dichiarano che ormai, sul versante spaccio di stupefacenti, fanno fatica a riciclare solo i soldi provenienti dal mercato della cocaina. Benvenuti in Emilia Romagna terra solidale ed esempio di un multiculturalismo mafioso che, secondo le stesse cosche, andrebbe esportato come “modello”. Una epopea iniziata nel 1958 con lo sbarco da Cinisi di Procopio di Maggio e che si snoda passando per Badalamenti, Riina, Condello, Schiavone, Iovine, Barbieri, Ventrici, Grande Aracri, Femia che trovano in Emilia ospitalità, silenzio ed aziende compiacenti.

In questo contesto, e purtroppo molto altro, nasce “Emilia Romagna cose nostre – cronaca di un biennio di mafie in Regione”.

Dossier indipendente, figlio del lavoro di un gruppo di associazioni operanti nel territorio (AdEst, Gruppo dello Zuccherificio di Ravenna, Gruppo Anti Mafia Pio La Torre di Rimini) che da anni prova a fornire una “cassetta per gli attrezzi” per chi voglia approcciarsi al tema delle mafie al nord e magari decidere di dedicare una parte del suo tempo al contrasto della criminalità organizzata.

Il lavoro è diviso in quattro parti. Nella prima si disegna con le parole la cornice di un quadro dove il protagonista, le mafie, si sono arricchite al limite dell’opulenza. Nella seconda si racconta la triste sequela dei morti per droga a Bologna. La terza sezione del Dossier è dedicata al filo conduttore che lega 40 anni di mafia in Emilia-Romagna: il gioco d’azzardo e le bische clandestine. In conclusione troverete il rapporto completo di tutte le operazioni effettuate dalla magistratura e dalle forze dell’ordine nella Riviera Romagnola. Un lavoro certamente non esaustivo della “marea di mafie” che si è abbattuta sull’Emilia Romagna, ma che regala spunti su cui poter costruire collegamenti, reti e collaborazioni.

In pratica dare gambe a quell’Antimafia sociale tante volte evocata ma troppe poche volte praticata.
Il Dossier è dedicato a Roberto Morrione, “fai quel che devi, accada quel che può”, diceva, noi almeno ci proviamo.

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