Lo Sblocca-Italia? «Una grande occasione persa». Il giudizio di Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, è piuttosto risoluto. Ed è un giudizio assolutamente negativo, nonostante Matteo Renzi abbia rivendicato l’approvazione di questo decreto come un grande successo del suo esecutivo: un’opportunità straordinaria per la semplificazione burocratica e il rilancio dell’economia del nostro Paese.
Non è così?
Il premier e i suoi ministri parlano di sviluppo e di futuro del Paese, puntando però sui cavalli sbagliati. Si continuano a inseguire grandi opere, autostrade; perfino le trivellazioni petrolifere diventano strategiche. Un programma di lavoro che non sembra tener conto del contesto in cui siamo e delle reali esigenze non solo degli Italiani ma anche del territorio e del’ambiente che li circonda.
Ma così anche Legambiente rischia di entrare a pieno titolo nel novero dei “gufi”, di quelli che, secondo il premier, criticano sempre opponendosi al cambiamento.
Legambiente ha risposto allo sblocca Italia con #sbloccafuturo, indicando quali sarebbero i cantieri realmente necessari per il nostro Paese. Ci sono le tratte ferroviarie da rimodernare, interventi di mobilità urbana, insieme a buone politiche di gestione e prevenzione del rischio o per le bonifiche dei siti contaminati. Ma la nostra proposta non si ferma soltanto ad un elenco di cantieri utili: attraverso questi, piuttosto, traccia una diversa idea di politica ambientale per il nostro Paese.
Sono 101 le proposte di intervento che suggerite al governo. Qualche esempio?
Le opere individuate da Legambiente sono tra di loro molto diverse, sia per impegno finanziario che per consistenza dell’intervento. La più drammatica è senza dubbio la situazione che si sta determinando a L’Aquila e negli altri 56 Comuni colpiti dal terremoto 2009, dove il finanziamento, per quasi un miliardo di euro, di centinaia di progetti già approvati, è bloccato dal patto di stabilità europeo. Ma ci sono anche altre situazioni semplicemente paradossali, come quella dell’idrovia Padova-Venezia, il cui progetto fu avviato nel 1963. Ci sono poi due impianti di compostaggio in Sicilia, a Ragusa e Vittoria, che sono emblematici delle contraddizioni della nostra politica di sviluppo. Si tratta di due progetti bloccati: l’uno dalla mancanza del personale necessario per farlo funzionare, e l’altro dall’assenza della cabina elettrica. E questo avviene proprio in una delle regioni maggiormente martoriate dalla disoccupazione e che ha ancora la quota di raccolta differenziata più bassa d’Italia. Ma al di là delle situazioni estreme, il viaggio per l’Italia paralizzata conferma l’esistenza di alcuni ben noti ostacoli. Primo fra tutti il patto di stabilità interno, che blocca opere di ogni tipo e di differenti livelli di impegno tecnico e finanziario: dalla bonifica dall’eternit di Casale Monferrato, una delle bonifiche simbolo della nostra era, alla ristrutturazione della Circumvesuviana, fino al risanamento della galleria cittadina Montebello – Piazza Foraggi a Trieste.
L’Italia è quasi totalmente a rischio idrogeologico. E le vicende di queste ultime settimane ci ribadiscono, una volta di più, la tragicità di questa situazione. Come si pone lo Sblocca-Italia rispetto a questo fenomeno?
L’articolo 7 affronta il tema del rischio idrogeologico. Ancora una volta però si è persa l’occasione di mettere in campo una strategia generale di governo del territorio e dei fiumi e un’efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici per la mitigazione del rischio da frane e alluvioni. Occorre invertire la tendenza degli ultimi anni, in cui si sono spesi circa 800 mila euro al giorno per riparare i danni e meno di un terzo di questa cifra per prevenirli, e far partire un programma nazionale di manutenzione e prevenzione. Si potrebbe partire, ad esempio, dal garantire il coordinamento e l’integrazione tra gli strumenti previsti in attuazione della Direttiva quadro sulle acque (n.2000/60/CE), e della Direttiva relativa alla valutazione ed alla gestione dei rischi di alluvioni (n.2007/60/CE), considerando che la gestione razionale delle risorse idriche e del territorio rappresenta uno degli aspetti più rilevanti della pianificazione di bacino. Mettere in campo politiche che prevedano la difesa dalle acque e al tempo stesso la difesa del suolo, definendo con maggiore chiarezza il ruolo, le competenze e la composizione delle Autorità di Bacino Distrettuali, avviando urgentemente la loro costituzione, dotandole di adeguate risorse umane e finanziarie. E poi, una volta per tutte, bisognerebbe liberarsi della logica dei Commissari straordinari e garantire il coinvolgimento e la partecipazione dei territori per la costruzione di una concreta politica di mitigazione.
Una questione molto dibattuta riguarda le agevolazioni alle industrie estrattive. Davvero si corre il rischio di una trivellazione selvaggia? E quali ne sarebbero le conseguenze?
Il principio da cui parte l’articolo 38, che riguarda le trivellazioni e le estrazioni di idrocarburi nel nostro Paese, è profondamente sbagliato. Infatti si ritengono tali attività strategiche, senza considerare che nel nostro Paese abbiamo risorse petrolifere che basterebbero, stando i consumi attuali, per poco più di un anno. Il petrolio estraibile dal sottofondo marino, poi, coprirebbe il nostro fabbisogno solo per qualche settimana. In nome della loro presunta strategicità, inoltre, il decreto impone per tali attività deroghe, agevolazioni e procedure semplificate che mettono a serio rischio territori e ampi tratti del mare italiano, come la Basilicata, la Sicilia o l’alto Adriatico, dove si prevedono nuove attività estrattive, mascherate da attività sperimentali, nonostante l’evidente rischio di subsidenza e le gravi conseguenze che questo fenomeno sta portando già oggi.
Legambiente denuncia anche un eccessivo ricorso alle deroghe e alla deregolamentazione straordinaria per sbloccare le opere pubbliche. È davvero così?
La norma avrebbe dovuto “sbloccare l’Italia”, incidendo strategicamente nel quotidiano dei cittadini e degli attori della pubblica amministrazione, mediante un effettivo snellimento delle procedure e una reale delegificazione. Nella realtà, invece, il decreto Sblocca Italia introduce solo innumerevoli deroghe ed eccezioni, la cui applicabilità dovrà essere volta per volta valutata con lunghe analisi dei requisiti e dei presupposti, determinando un ennesimo stato di confusione e un allungamento dei tempi. Il governo Renzi si mostra così intenzionato a ricorre con convinzione allo strumento del commissariamento, dimenticando le passate disastrose esperienze di gestione commissariali per questioni relative a rifiuti, depurazione, fognature, bonifiche, rischio idrogeologico. Esperienze che, oltre a non aver risolto le decennali emergenze, sono state esse stesse causa di sprechi e di blocco delle procedure, spesso a scapito della trasparenza e della legalità.
Qual è l’atteggiamento dei media rispetto a questi temi?
È determinante, direi, per raccontare la rivoluzione in atto in Italia, per far conoscere le storie che testimoniano i territori, le amministrazioni e i soggetti che sono riusciti a compiere quel cambio di paradigmi che auguriamo possa verificarsi presto in tutto il Paese: dai Comuni 100% rinnovabili, alle amministrazioni che hanno messo in campo una sana politica di gestione dei rifiuti, fino alle imprese che hanno fatto della legalità e della sostenibilità ambientale la loro forza economica e di sviluppo. È necessaria un’azione quotidiana di informazione che abbia il compito, complicato ma fondamentale, di denunciare le cose che non funzionano e di raccontare, al contempo, un’Italia diversa, da cui partire anche per mettere in campo politiche nazionali concrete ed efficaci. Il futuro che dobbiamo proporci di costruire deve essere più duraturo e di qualità.