Nell’infinita strage di reporter (siamo già a quota 124 quest’anno) c’è ora un aspetto nuovo: l’ultima vittima, l’americano Luke Somers, è stato ucciso infatti in un fallito blitz per liberarlo. Fotoreporter di origini inglesi, 33 anni, era stato rapito un anno fa nello Yemen da una costola di al Qaeda (Aqap, fra le più pericolose). Qualche giorno fa aveva rivolto un appello disperato subito dopo l’ultimatum dei terroristi. Obama allora ha deciso di ripetere un intervento diretto già andato male alla fine di novembre. Un centinaio di agenti delle forze speciali, fra cui i famosi Navy Seals che hanno ucciso bin Laden, hanno messo in atto un’operazione gigantesca condotta via mare e via cielo, ma la sorpresa è stata vanificata, pare, da un banale rumore che ha allertato i sequestratori che per prima cosa hanno sparato agli ostaggi. Perché erano due: c’era anche Pierre Korkie, un insegnante sudafricano, che sarebbe stato liberato il giorno successivo. E di cui sembra che gli americani non sapessero niente, grave carenza nelle informazioni di intelligence. Nel conflitto a fuoco (estremamente violento) sono rimaste sul terreno molte persone: sicuramente una decina di terroristi, ma anche civili fra cui bambini, oltre ai due prigionieri.
Obama molto onestamente si è assunto la responsabilità della decisione, spiegando: “Faremo sempre tutto per liberare i cittadini americani”. Tutto meno il pagamento del riscatto. E’ questo il nodo fra gli Stati Uniti e l’Europa. Non sappiamo quale sia la scelta giusta. Il riscatto di Korkie era già stato pagato e il giorno successivo sarebbe stato libero. Per Somers la linea della fermezza era destinata comunque all’ennesimo sacrificio. Perché, oltre ai soldi, c’è in ballo l’attacco indiscriminato delle forze americane. Non è facile scegliere. Il fratello di Luke piangendo ha detto: “Era solo un fotoreporter, lui non aveva colpe”. Già.