“Todos somos americanos” scandisce pubblicamente Obama. Raúl Castro gli fa eco da Cuba e papa Francesco mette a segno un colpo diplomatico che ricorda, per importanza, il contributo di Wojtyla all’abbattimento del Muro di Berlino e alla conclusione della Guerra fredda in Europa. Ora, cinquantacinque anni dopo l’ingresso vittorioso di Fidel Castro ed Ernesto Guevara a L’Avana e cinquantatre anni dopo il tentato golpe fallito della Baia dei Porci, possiamo dire che la suddetta guerra si è conclusa anche oltreoceano, consegnando alla storia una contrapposizione ideologica, filosofica e di stili di vita che meriterà senz’altro lunghi approfondimenti e accese discussioni. Poiché, però, non è questa la sede adatta, ci limitiamo a sottolineare il valore straordinario di questo pontificato, incarnazione dell’autentico messaggio evangelico e punto di riferimento per un mondo smarrito e in cerca non tanto di una guida quanto, soprattutto, di persone perbene e modelli positivi ai quali ispirarsi. Ai tempi in cui iniziò l’embargo, c’erano Kennedy da una parte e Castro dall’altra, con il mito del “Che” sullo sfondo ma sempre ben presente nei cuori di milioni di persone e sulle cronache di tutti i giornali; oggi, a mezzo secolo di distanza, lo scontro è fra la volontà di potenza delle risorte tigri asiatiche, non certo esempi di democrazia da imitare, e un Occidente diviso fra un’America in cerca di se stessa e un’Europa stremata dalla crisi e dalle contraddizioni interne. Ammetterete che non è proprio un bel vedere! Quanto a Obama, dissentiamo da chi asserisce che, con questo gesto, abbia superato il mito di Kennedy: non è così. Quel tempo, quegli interpreti e quello stato di euforia collettiva che caratterizzò l’inizio degli anni Sessanta non hanno nulla a che spartire con la cupidigia e il baratro nel quale siamo immersi oggi: i ragazzi di allora erano i figli del boom planetario che esplose una volta spazzate via le macerie della guerra e, per quanto riguarda Italia e Germania, di due dittature sanguinarie e devastanti; i ragazzi di adesso sono i figli della crisi e dell’incertezza, delle illusioni tradite e dei sogni infranti, in un contesto nel quale ad essere state spazzate via sono le loro speranze di potersi costruire un futuro non diciamo migliore ma quanto meno simile a quello dei propri genitori e dei propri nonni.
Invece niente: una sconfitta dopo l’altra, un tradimento via l’altro, un’illusione calpestata che si somma a un orizzonte che si chiude, a una fabbrica che delocalizza, a migliaia di posti di lavoro che vanno in fumo da un giorno all’altro e a una crisi della politica, oltre che dell’economia, senza precedenti e, per il momento, apparentemente senza sbocco.
Come senza sbocco appaiono, purtroppo, due crisi che hanno contrassegnato l’anno che sta per concludersi: quella russo-ucraina, corredata da stupide e controproducenti sanzioni occidentali alla Russia, e quella umanitaria, sociale, politica ed economica di un’Africa sull’orlo dell’abisso, i cui disperati si riversano a frotte sulle nostre coste nella speranza di trovare un approdo di pace, un pasto caldo e, magari, un lavoro, dignitoso o meno che sia. Illusioni infrante anche in questo caso: molti muoiono di fame e di sete nel deserto, coloro che riescono a imbarcarsi, spesso, affogano a poche miglia dalla “terra promessa”, dopo aver viaggiato per giorni a bordo di pezzi di legno fradicio, stipati come sardine, in condizioni igieniche pietose; chi riesce nell’impresa di sbarcare a Lampedusa viene recluso in un CIE o, se proprio gli dice bene, spedito in una qualche discarica umana, ovviamente in periferia, lontano dalle luci e dalle telecamere, andando ad alimentare la rabbia e l’esasperazione di italiani poveri e, per lo più, disoccupati che vivono come un’ulteriore minaccia l’arrivo di una concorrenza disposta ad accettare qualunque condizione di lavoro pur di portare a casa quel minimo che le basta per vivere.
Miseria umana, miseria morale e sfruttamento indegno, quartieri poveri e dimenticati nei quali si scatena una voglia matta di “pogrom” e, immancabilmente, istituzioni assenti e sorde: e così veniamo alla politica italiana.
Una politica che, neanche a dirlo, è riuscita a dare, quest’anno più che mai, il peggio di sé. Dopo aver silurato Letta in una memorabile direzione del PD (13 febbraio 2014), Renzi ha presentato a Napolitano una lista di ministri oggettivamente discutibile che il Capo dello Stato, non certo esente da colpe, ha tentato di migliorare, per quanto possibile, imponendo al fiorentino scatenato l’esperto Padoan alla guida del dicastero dell’Economia. Era il 22 febbraio, tre giorni dopo il nuovo Premier avrebbe incassato la fiducia delle Camere, esibendosi in uno dei peggiori discorsi mai sentiti in Parlamento da parte di un presidente del Consiglio, e sarebbe iniziata la grande avventura che lo ha condotto, grazie agli ottanta euro in busta paga per chi percepisce un reddito fino a millecinquecento euro mensili, alla conquista del vertiginoso 40,8 per cento alle Europee di maggio. Da lì, mentre tutti si aspettavano una cavalcata trionfale e inarrestabile verso la gloria, il nostro eroe non ha più indovinato una sola mossa: privo di una bussola, eccessivamente pieno di sé e convinto di poter riuscire dove nessun altro mai (per il semplice motivo che non sussistono le condizioni e i vincoli europei, peraltro sbagliatissimi, parlano chiaro), Renzi è andato avanti a colpi di decreti legge e fiducie, riuscendo a far approvare in prima lettura l’esecrabile Italicum e il pastrocchio che trasforma il Senato in un dopolavoro per consiglieri regionali, smantellando l’articolo 18 e lo Statuto dei lavoratori e innescando, come legittima reazione, uno dei più grandi movimenti sociali e popolari mai visti nella storia del Paese, con le manifestazioni sindacali del 25 ottobre (CGIL) e dell’8 novembre (gli statali delle tre sigle confederali) e lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL lo scorso 12 dicembre. Ma sarebbe sbagliato non menzionare le manifestazioni autonome degli studenti contro la tanto strombazzata riforma della scuola, per ora limitata ad un sondaggio on-line, e l’opposizione feroce costituita non dai “gufi, “rosiconi, “disfattisti” e “professoroni” di cui parla in continuazione il Premier ma da una realtà fatta di conti che non tornano, manovre economiche abborracciate, fiumi che esondano a causa dell’avidità e dell’incuria degli uomini, città sommerse dall’acqua e dal fango e interi territori messi in ginocchio dagli effetti tangibili di un dissesto idrogeologico che rischia di essere ulteriormente aggravato da un altro fiore all’occhiello di questo governo: lo Sblocca-Italia, a base di cemento e trivelle a volontà, contro il quale sta montando la reazione indignata di associazioni ambientaliste, liberi cittadini ma anche giunte regionali guidate dal PD e non proprio in sintonia con l’autoproclamato salvatore della Patria. Quanto al semestre europeo, meglio sorvolare o limitarsi a un commento da giornale sportivo: non pervenuto.
Nell’anno che verrà, conosceremo, innanzitutto, il nome del successore di Napolitano, col vago presentimento che non sarà semplicissimo eleggerlo, e vedremo gli effetti del piano Juncker, annunciato in pompa magna dall’ex premier lussemburghese e rivelatosi, ben presto, poco più che una mancia. E assisteremo anche alla coraggiosa e mirabile lotta dei medici di “Emergency” e di altre associazioni umanitarie contro il flagello di ebola, che ci ricorda la nostra piccolezza e la nostra incredibile vulnerabilità. Per fortuna, c’è anche gente così, in questo mondo devastato dalla brama di potere e ricchezza di pochi, maledetti imbroglioni.
Buon Natale e buon anno a tutti!