Caterina e Giuseppe vengono da Treviso: sono due personaggi che potrebbero fare tranquillamente parte di uno dei tanti spot propagandistici del Presidente del Consiglio. Lavorano nel para-Stato e ci raccontano drammi e speranze di uno dei territori un tempo più floridi e oggi fra i più martoriati del Paese. La crisi, certo, ma anche la perdita di certezze, la dissoluzione del senso di comunità, il tessuto sociale sfibrato, le ansie, i timori, le paure e le perplessità di una categoria che si sente da anni sotto assedio, sottoposta a insulti, offese e minacce continue, con i contratti bloccati da cinque anni che forse rimarranno tali fino al 2018, magari fino al 2020. Il nostro Giuseppe è un po’ più grande di quello descritto da Renzi nel videomessaggio di settembre: sarebbe dovuto andare in pensione quest’anno a luglio ma è incappato nella riforma Fornero e dovrà rimanere al lavoro fino a sessantasette anni. Il suo pensiero va ai giovani senza occupazione, si domanda come faranno a trovarla se non si mandano in pensione quelli come lui che ormai sono stanchi, hanno superato la sessantina e vorrebbero vedere i propri figli messi nelle condizioni di costruirsi un futuro e una famiglia. E un altro pensiero corre, inevitabilmente, alla situazione politica, alla minoranza del PD che dovrebbe passare dalle parole ai fatti, alla possibile nascita di un nuovo partito di sinistra ma anche alla preoccupazione che Renzi stravinca e polverizzi qualunque opposizione. All’ultimo congresso hanno votato per Cuperlo, oggi non sono intenzionati ad accordare la propria fiducia al PD ma, in assenza di una sinistra autorevole e rappresentativa delle loro esigenze, si sentono politicamente apolidi. Un sindacato, invece, l’hanno trovato eccome: è la CGIL, di cui ricordano ancora con emozione la manifestazione di due settimane fa che non può competere con quella memorabile del 2002 ma è comunque l’inizio di un percorso di lotta da non sottovalutare.
Ci sono poi i dipendenti pubblici di CISL e UIL, uniti come lo sono stati i pensionati, perché i diritti non riguardano questo o quel sindacato ma intere categorie ormai allo stremo, desiderose di farsi sentire e non più disposte ad assistere agli attacchi sferrati dalla giovane classe dirigente piddina senza replicare a dovere.
Ciò che sorprende gli stessi organizzatori della manifestazione è il numero dei partecipanti: superiore alle aspettative, proprio come lo scorso 25 ottobre, a dimostrazione che la rabbia è tanta e i sindacati svolgono una funzione essenziale per contenerla entro i limiti di una ribellione pacifica, democratica e non violenta.
Una piazza costruttiva e propositiva che vede nuovamente unite le tre sigle confederali e, probabilmente, costituisce il preludio allo sciopero generale della CGIL, non ancora annunciato dalla Camusso ma ormai nell’aria. Seguiranno anche le altre due sigle sindacali? Vedremo. La certezza che dà speranza è che quest’autunno di lotta sarà lungo perché la crisi del Paese non consente di abbassare la guardia né di accettare – come lasciano intendere Caterina e Giuseppe – il “divide et impera” di un Presidente del Consiglio che parla di conflitto sociale sulla pelle dei lavoratori, dimenticandosi di dire che ad alimentarlo è proprio lui.