Per come è la classe politica romana, avere un sindaco non amato dai suoi colleghi è un buon segno.
Marino di nemici a Roma se n’è fatti parecchi e traversali. Denunciando la parentopoli permessa da Alemanno nelle aziende comunali, tappando le falle di bilancio da dove erano entrati consulenti e debiti al limite del tracollo, pedonalizzando Via dei Fori Imperiali, per realizzare l’utopia urbanistica di Cederna di unificare i Fori.
Marino ha anche fatto degli errori, ma non è un ladro. E questo il ceto corrotto del potere non glielo perdona. Perché se rubano tutti, il sistema gira e fa mangiare anche l’indotto politico. Se invece il Sindaco si mette in testa di fermare la giostra, il malumore dei clientes inizia a crescere, fino a trovare un pretesto per togliere quel tappo di correttezza che ostruisce il denarodotto comunale.
E qui arriva la sua Panda rossa (non la mercedes blu), con il permesso scaduto benché dovuto al sindaco per muoversi nelle zone a traffico limitato. Marino, dei tre permessi a sua disposizioni, ne richiede solo uno, ma dopo il primo anno non lo rinnova subito. E così arrivano le multe che il sistema automatico di foto-rilevazione ai varchi invia alla Municipale.
Da qui in poi, si svolge uno psico-dramma dove opposizioni e sindaco s’incartano in denunce acrobatiche e controdenunce farlocche da commedia all’italiana, nonostante il Panda-gate sia di poche centinaia di euro per multe fasulle e privo di ogni alone di mistero
Ma quando la polemica langue, per fortuna arriva lo scandalo Di Stefano, con accuse di quasi 2 milioni di tangenti per appalti e terreni, che riporta ii furto in politica al livello sfarzoso che gli compete.
Roba da squali, altro che panda.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21