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Scioperi precari, dai call center ai metalmeccanici del mezzogiorno

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Dopo la mobilitazione dello scorso 4 giugno, i lavoratori del settore tornano in piazza oggi. Indetto da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, la formula questa volta prevede, dopo il corteo, “la notte bianca dei call center”, una non-stop di dibattiti e concerti a Piazza del Popolo per dire basta a delocalizzazioni e alle gare al massimo ribasso. E’ quello dei call center il luogo della massima precarizzazione del lavoro, il luogo dei contratti a diritto de-crescente, dell’assenza di proprietà – a volte – perché cambia repentinamente a seconda della richiesta di diritti che arriva dai lavoratori. Un luogo che è depredato dalle aziende clienti che lavorano su appalti brevi, pronti a sostituirli con richieste di offerte al ribasso. Lavoratori in affitto, quasi, che vengono cambiati nel momento il cui la “merce lavoratore” si trova ad un prezzo più basso. I luoghi che esistono e che non esistono. Veri e propri fantasmi del lavoro precario

Call Center al sud, creati da aziende che nascono e muoiono nell’arco di pochi mesi, che acquisiscono finanziamenti pubblici e poi spariscono. Magari delocalizzando e andando in paesi esteri dove gli “schiavi del lavoro” costano meno. Non ci si sbalordisce nemmeno, in questo settore, se ogni tanto emergono rapporti tra la proprietà di queste aziende e la criminalità che, in alcuni casi, trova lavatrici pronte a riciclare soldi sporchi. Queste storie Articolo 21, negli anni, le ha raccontate.

Le storie di una piazza di lavoratori senza diritti. Manifestano a Roma per raccontare la loro difficoltà

Camilla Gaiaschi (twitter@camillagaiaschi) , sul suo blog del Corriere scrive:

“Il tavolo aperto al ministero per lo Sviluppo Economico sembra essersi arenato: sindacati e Confindustria non trovano l’accordo sulla questione della continuità occupazionale. I primi chiedono il recepimento della direttiva europea 23 del 2001 che stabilisce, in caso di cambi d’appalto, che l’azienda subentrante si faccia carico dei lavoratori dell’azienda uscente. I secondi sono contrari e sostengono che tale meccanismo mal si adatta al settore dei call center.

“Il Governo all’inizio aveva accolto le rivendicazioni sindacali e si era detto disposto a trovare una soluzione – spiega Riccardo Saccone, coordinatore nazionale per le Tlc di Slc Cgil – dopodiché ha fatto marcia indietro. Durante l’ultimo incontro inoltre aveva annunciato l’intenzione di intervenire per fermare le gare al massimo ribasso nella Pubblica Amministrazione. Ma ad oggi il tavolo di crisi è fermo e non viene più convocato”.

C’è dell’altro: una norma di per sé buona contenuta nella legge di stabilità, quella che prevede sgravi contributivi nei primi tre anni per le aziende che assumono, se applicata a un settore come quello dei call center afflitto dalle gare al massimo ribasso potrebbe trasformarsi in un boomerang.

Intanto oggi molti lavoratori rischiano il licenziamento: 262 operatori in mobilità a Palermo dopo che British Telecom ha revocato la commessa ad Accenture, 489 quelli di E-Care a Milano. A Roma gli operatori di Almaviva restano in attesa di conoscere il loro destino dopo che la nuova commessa per il comune di Roma è stata vinta da un’azienda concorrente, la Abramo Costumer Care.

E di recente Enel ha indetto una gara al massimo ribasso, per la quale, spiega Saccone “è evidente che il call center che se la aggiudicherà non avrà margine per poter applicare il contratto nazionale”. Svanite le speranze di un accordo nazionale, i tre sindacati hanno avviato una raccolta firme per una denuncia da presentare alla Commissione Europea relativa all’errata trasposizione dei contenuti della direttiva europea 23 del 2001. L’obiettivo è quello di portare la situazione italiana all’attenzione di Bruxelles che a quel punto potrebbe intervenire con una procedura di infrazione.”

Oggi manifestano anche i metalmeccanici della FIOM in Campania, una Regione in crisi, con aziende del settore in fortissima crisi. E’ il lavoro che non c’è più in attesa delle promesse del lavoro che verrà. Parlano delle tutele de-crescenti, anche loro, per se stessi e le famiglie. E spicca un manifesto indirizzato al Presidente del Consiglio che dice: “A scioperare non sono i sindacati ma i lavoratori”. E’, la loro, la rivendicazione plastica, fatta di donne, uomini e diritti, di chi rivendica l’essenzialità di quei “corpi intermedi” su cui si sta consumando una vera e propria guerra per il loro annullamento. Con il rischio che tra i lavoratori e il mercato resti solo la logica del caporalato.

E tutto in una fase in cui il lavoro e le morti sul lavoro non ottengono giustizia nemmeno nelle aule dei tribunali.

 

 

 


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