Le ultime parole, in ordine di tempo, le ha pronunciate giovedì 6 novembre il procuratore generale della Cassazione, che in occasione della richiesta di annullare il processo all’ex questore di Genova ai tempi del G8 del 2001, ha detto: “Sono convinto che tutta la vicenda del G8 di Genova sia stata una vergogna nazionale (…) innanzitutto perché non siamo stati capaci di elaborare una norma sulla tortura in grado di dare una sanzione per tutto quello che è successo”.
Prima di lui, Roberto Settembre (estensore della sentenza d’appello per le violenze di Bolzaneto e autore del libro-denuncia “Gridavano e piangevano”) aveva lamentato l’assenza nel codice penale persino della parola, tortura appunto, che avrebbe dovuto descrivere il trattamento subito da oltre 250 persone all’interno del centro di detenzione genovese nel luglio 2001.
Della necessità d’introdurre il reato di tortura aveva parlato nel luglio 2012 il procuratore generale di Genova, Vito Monetti, all’indomani della sentenza di Cassazione sulle violenze nella scuola Diaz. L’elenco dei casi in cui il reato di tortura avrebbe potuto fare la differenza, sul piano giudiziario, si dipana per gli ultimi 13 anni dal caso di Stefano Cucchi al G8 genovese e ne contiene numerosi altri: Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Emmanuel Bonsu, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, Franco Mastrogiovanni…
Basterebbe questo per rendere necessaria l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. Ma se anche, per ipotesi, in Italia non vi fosse mai stato un caso in cui invocarla, l’Italia avrebbe comunque avuto da tempo l’obbligo di colmare quel vuoto legislativo. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro paese nel 1988, prevede che ogni stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura delineati all’articolo 1 della Convenzione stessa.
Le iniziative parlamentari, in questo quarto di secolo, si sono infrante contro una barriera invalicabile, eretta dalle forze di polizia e sostenuta trasversalmente da molti deputati e senatori. È una barriera che si fonda su un assunto a mio avviso profondamente sbagliato: se s’introduce il reato di tortura, si accusano le forze di polizia di praticarla. Da cui il postulato: se il reato di tortura non c’è, evidentemente in Italia la tortura non c’è.
I sopravvissuti alla tortura, i loro familiari, le associazioni per i diritti umani e – finalmente – un coro sempre più ampio e autorevole di voci dalle istituzioni, specialmente dal sistema giudiziario, pensano il contrario: intanto, che il reato di tortura, se correttamente descritto dalla norma, avrebbe una funzione preventiva; e poi, che potrebbe finalmente punire i singoli pubblici ufficiali responsabili di tortura in modo adeguato alla gravità dell’atto commesso, senza prescrizione.
Il 10 dicembre, Amnesty International Italia consegnerà ai presidenti del Consiglio, della Camera e del Senato migliaia di firme per l’introduzione di un reato specifico di tortura nel codice penale italiano. Può essere ancora sottoscritto, ed è urgente farlo, qui: http://www.amnesty.it/reato-tortura-italia