A quasi quarant’anni da quella tragica mattina del 16 marzo 1978 che vide Aldo Moro, rapito dalle Brigate Ros se e trasportato nel rifugio della capitale, attrezzato dai terroristi per un interrogatorio, durato quasi due mesi che si sarebbe concluso con i colpi di rivoltella destina ti al presidente della Democrazia Cristiana, emergono nuovi particolari di notevole interesse dalle carte della Procura Generale di Roma che ha chiesto di indagare per concorso in omicidio lo psichiatra americano Steve Pieczenik, inviato in Italia dagli Stati Uniti come consulente dell’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, e che-secondo l’ipotesi elaborata- in questo processo -dal Procuratore Generale Luigi Ciampoli aveva lo scopo preciso di rendere la crisi italiana inoffensiva per la NATO.
“Mettere le mani sui testi e sui nastri dell’interrogatorio di Moro – scrive il Procuratore Ciampoli che ha avocato a sé il procedimento aperto dal pubblico mini stero Luca Palamara – e che parla dell’operazione con dotta dallo psichiatra americano, vicino allora al segretario di Stato degli Stati Uniti Henry Kissinger. L’interesse americano per il sequestro Moro – secondo il magistrato che guida la Procura Generale della capitale – si esplicita soltanto dopo la pubblicazione del comunicato numero 3 delle Brigate Rosse, il 29 marzo 1978 in cui i brigatisti promettono di render note le rivelazioni del prigioniero. E allegano una lettera riservata – ma resa subito pubblica dalle B. R-in cui lo statista democristiano scrive al ministro dell’Interno di rischiare di dover parlare “in maniera che potrebbero sgradevole o pericolosa”. Ed è questo il momento di svolta nel sequestro Moro. “Non fu un caso-scrive il magistrato-che subito dopo quella lettera del leader democristiano- l’esperto del Dipartimento di Stato americano Pieczenik. Il sequestro Moro a quel punto era stato percepito da Washington come un pericolo serio per gli Stati Uniti”.
A quanto pare, in precedenza gli S. U. avevano declinato il loro aiuto al governo italiano che lo aveva chiesto rifacendosi a un decreto presidenziale di Carter che vietata ai Servizi di informazione statunitensi di collaborare con altri paesi a meno che non fossero in pericolo interessi vitali degli Stati Uniti. Oltre alla volontà di eliminare Moro che poi si realizzò il 9 maggio di quell’anno, l’altro obbiettivo era quello di “mettere le mani sui testi e sui nastri dell’interrogatorio di Moro”, documenti che poi, dopo il sequestro, spariranno misteriosamente. Le Brigate Rosse sosterranno, in seguito, di aver distrutto gli originali o si rifiuteranno apertamente di rispondere sul punto come farà Mario Moretti dinanzi al giudice il 30 ottobre 1990 in uno dei pro cessi(quattro per l’esattezza più una lunga inchiesta parlamentare già svolta qualche tempo dopo l’acca duto). Il terzo obbiettivo della missione dello psichiatra sarebbe stato di “costringere al silenzio le Brigate Rosse” raggiunto anche in questo caso anche se fosse “il più difficile da conseguire”: giacché, a partire dal 15 aprile 1978, si smorzano le promesse fatte dalle Brigate Rosse di pubblicare le importanti rivelazioni emerse nel l’interrogatorio del presidente della D.C.
Niente di quanto rivelato eventualmente da Moro sui “veri responsabili” delle stragi, sugli “intrighi di potere, le omertà” di cui parlano le B. R. nei loro comunicati, verrà reso noto dai brigatisti né in quel momento, né in anni successivi. “Quanto al come – aggiunge il magistrato quarant’anni dopo ormai – possono formularsi soltanto delle ipotesi su un ruolo della Nato nel rapimento o di qual che altro apparato di sicurezza o ancora di associazioni mafiose o di tutti questi apparati insieme.” La Procura Generale ha deciso – e ha fatto bene, mi pare, anche la figura di due uomini presenti nei luoghi della vicenda: il colonnello Camillo Guglielmi, capo dell’Ufficio Sicurezza del Sismi, già vicino al generale del SID (il Servizio Informazioni del Ministero della Difesa sciolto nel 1977, Gian Adelio Maletti, condannato per favoreggiamento dei neofascisti accusati della strage di piazza Fontana. Guglielmi aveva partecipato nel 1972-73 ad alcuni addestramenti speciali nella base sarda di Capo Marrargiu sull’uso degli esplosivi e sulle tecniche in relazione con i tragici eventi che in quella via e in quel giorno ebbero luogo. L’altro uomo nel documento di Ciampoli è Bruno Barbaro”, cognato del colonnello Fernando Pastore Stocchi, e collaboratore del generale Vito Miceli” che in via Fani, secondo alcuni testimoni “gestiva una base dei servizi segreti”. “In via Fani – secondo il magistrato – ci sono due personaggi che in qualche modo conducono a Capo Marrargiu: la base di addestramento della struttura Stay-Behind .In effetti (come dimostra da ultimo il libro di Guido Panvini, Le altre Glaudio, pubblicato dall’editore Einaudi) non si sa bene di cosa la sigla Gladio sia il paravento dietro cui si nasconde altro. Una serie di strutture militari e civili, infiltrate da ex seguaci della repubblica di Salò legati a doppio filo ai servizi segreti dei Paesi occidentali,dal “Noto servizio” dei tempi di Andreotti al “Sid parallelo”,dalla “Rosa dei venti” del colonnello Amos Spiazzi ai “Nuclei di Difesa dello Stato” che agiscono molto oltre i confini dell’anti comunismo democratico. Così, dopo 36 anni l’Italia installa una nuova Commissione di Inchiesta parlamentare sul caso Moro ma la verità su quella tragedia manca ancora….