Il capitalismo non è sostenibile.
Lo si vede bene da qui, a Pechino, dove – nella sua espressione più estrema – ha imposto le più grandi modifiche urbanistiche, spingendo in alto grattacieli e consumi, ma senza riuscire a risolvere le macroscopiche differenze sociali.
Non esiste il cinese medio, perché non esiste una classe media diffusa.
La società è polarizzata tra i nuovi ricchi delle grandi città con le grandi macchine e i milioni di poveri delle campagne con le vecchie biciclette. Che continuano a inurbarsi per migliorare la propria vita e finiscono in micro appartamenti di periferia, con la parabola fuori e i panni stesi dentro per evitare che puzzino di smog.
Gli operai dei cantieri lavorano su tre turni di 8 ore e le gru girano di notte sotto le luci fotoelettriche per realizzare gli edifici in tempi record. Per il traffico è sempre ora di punta. La mattina e la sera il sonno dei pendolari affolla i mezzi pubblici, assediati dalla colata di auto eruttata da 20 milioni di residenti, che gira in cinque anelli stradali concentrici attorno alla città (il sesto lungo più di mille chilometri è in costruzione).
Per noi turisti c’è la meravigliosa quiete della Città Proibita dove Bertolucci ha girato L’ultimo imperatore, i draghi e le fenici dello splendido Palazzo d’Estate e l’effetto speciale dei 44 ettari di Piazza Tienanmen, Pace Celeste, dove invece si è consumato il primo moto di rivolta giovanile soppresso nel sangue e nella rimozione pubblica. Non so niente, mi dice la guida quando gli chiedo notizie della reazione pubblica a quegli eventi. Quello che so me lo dite voi turisti, ma qui non abbiamo mai visto la foto del ragazzo davanti al carro armato e comunque, taglia corto, è illegale parlarne.
Per il nostro gruppo di studenti e insegnanti delle scuole dei Gesuiti, il senso del viaggio è racchiuso nella piccola tomba di Matteo Ricci, il gesuita che si è fatto cinese tra i cinesi, utilizzando la sua immensa cultura per rompere l’isolamento della “sua” gente.
Torno in Italia pensando che siamo più comunisti dei cinesi, perché anche chi non ha soldi viene operato al cuore, mentre nella Cina capitalista i poveri senza assicurazione o parenti disposti a pagare, muoiono per omissione medica.
Eppure, mi sento riconoscente verso questo popolo che ha inventato la calma e la seta, la ginnastica nei parchi ballata dalle anziane, la calligrafia delle poesie scritte in terra con l’acqua, il thè nero che pulisce le vene dai mille fritti che mangiano col riso.
Un popolo tenace che cerca da millenni armonia interiore, per dare un senso alla fatica esteriore.
Dove la povertà è ancora una minaccia e come stai?, si dice hai mangiato?
Ma che ora rischia di perdere la propria identità, sommerso da uno sviluppo taroccato, più dei rolex cheap price my firend.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21