Molti sono andati via da Latina, allontanati perché infangati o intimiditi. Molti hanno lasciato sbattendo le porte e dicendo che lì, nell’agro pontino, c’era la mafia. Molti ancora , tanti, si sono adeguati, conquistati dagli effetti benefici che la criminalità organizzata garantisce ai territori che occupa. Altri ancora hanno avuto paura e si sono schierati opportunisticamente con quelli che ritenevano i vincitori. E così, in questi decenni, in questo clima, è avvenuto il consumo da parte delle mafie del sud del Lazio. Tra le mille luci dei nascenti centri commerciali che, nella gioia dello shopping, hanno cancellato decine di famiglie di piccoli commercianti, tra le anonime vie che hanno seppellito il gusto razionalista della bonifica fascista, le mafie hanno cancellato una storia collettiva divorando nel silenzio l’economia di una delle zone più agricole d’Italia… La piana di Fondi era l’aranceto d’Italia, di poco distante da quella Campania Felix, cuore pulsante di una Italia che tutti ci invidiavano.
Ma poi giunsero i Chianese e gli Schiavone ma anche i Mallardo e i Tripodi. E la politica fu muta, per anni, mentre il voto di scambio e i ricatti chiusero la bocca anche ai più coraggiosi.
Prima dell’arrivo del Prefetto Bruno Frattasi la macchina della criminalità era oliata in modo perfetto. Inaugurazioni, riqualificazioni, sviluppo, occupazione: tutto marciava a pieno ritmo. Sui giornali la fama dei nuovi leader cresceva mentre a Roma si annunciava il successo dell’Italia, Paese “ricco”, con i ristoranti “pieni”. È storia recente ed è storia attuale. La politica o non c’era o era silenziosa mentre il “sacco” delle mafie giungeva a Roma e si inseriva nel giro delle pizzerie e dei restaurant di lusso di via Veneto. Poi qualcosa si è rotto dopo la richiesta, inevasa, di commissariare il Comune di Fondi e di scioglierlo per infiltrazioni mafiose: richiesta avanzata per mesi dal coraggioso Prefetto Frattasi. Una piccola valanga di coscienze ha iniziato a rotolare verso una protesta e una indignazione legata anche all’acqua privata, agli appalti senza gare, alla droga fornita ai giovani mentre chiudevano cinema e teatri. Un quadro apocalittico con sparatorie, incendi e financo morti, di cui nessuno parlava. I giornali di destra, la politica improntata ad uno scontro spesso ideologico tra destra e sinistra. Molto prima dei 5 Stelle stava nascendo una coscienza civile in quei territori oppressi. Tra le donne e i giovani soprattutto. E quando nel marzo scorso venne Don Ciotti furono in migliaia a scendere in piazza a Latina. Alcuni, con la fascia tricolore, pensarono che battersi il petto fosse sufficiente per far parte della colonna antimafia. Ma don Ciotti le mafie le conosce ed ha prontamente messo in guardia da una guerra di schieramenti di tipo “partitico” che riproduca tout court lo schema sinistra – destra in “mafia -antimafia”. Ha chiesto di dare senso e contenuto alla lotta alla mafia.
E Veniamo adesso alle ultime 48 ore:
mentre il Papa chiede contenuti civili ai cattolici di tutto il mondo auspicando integrazione e multiculturalismo, migliaia di giovani sfilano per le vie di Latina per dire NO alle mafie. L’occasione è la recente minaccia che la criminalità organizzata ha sferrato al giudice Lucia Aielli, da tempo impegnata in indagini contro le n’drine e non solo. La risposta é quella di una comunità indignata che riserva l’ultimo posto del corteo ai politici e non per quella distanza tra cittadini e istituzioni che tanto preoccupa il.Premier Renzi, quanto per una novità sociale e culturale che sarebbe piaciuta ai Costituenti. Le minacce di morte al giudice Aielli si accompagnano ancora una volta al tentativo di imbavagliare un coraggioso interprete della libertà di indagine: il nuovo Questore di Latina, protagonista di denunce sulla mafia dei colletti bianchi, attiva nel settore dell’ urbanistica. Così come già avvenuto negli anni scorsi, contro chi osava rompere il muro dell’omertà, si mette in moto quasi automaticamente, un comportamento dissuasivo di tipo “istituzionale”, quindi “legale”, fatto di interrogazioni parlamentari e proclami di non colpe volezza. Ma i giovani oggi hanno detto il loro “NO” alla mafia che non ammette cappottini partitici rispondendo a quei principi degasperiani che volevano il 18 aprile del1948 non come una vittoria di una parte contro un’altra del Paese ma come “una vittoria della libertà, della libera e consapevole scelta degli italiani a favore del sistema democratico”.
Così oggi, in migliaia, per lo più studenti, hanno riempito il vuoto di gran parte della politica e delle istituzioni e con la presenza significativa del Capo della Procura, Giuseppe Pignatone, hanno affermato la fine dell’epoca grigia dell’ipocrisia e della menzogna. Come ha detto il Papa e come dice da tempo don Ciotti é l’ora di esporsi. E loro, in tanti, ci hanno messo la faccia. Loro…