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Messico, siamo già 8 reporter uccisi

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L’ultima vittima si chiamava Josè Antonio Gamboa (nella foto), ucciso un mese fa, il 23 ottobre. La settimana prima era stata assassinata Maria del Rosario Fuentes Rubio, e la settimana precedente Atilano Roman Tirado. Tre reporter messicani che hanno pagato cara la battaglia contro i narcos. Sono stati otto in tutto nel 2014. Ma se si va indietro nel tempo le cifre sono drammatiche: cinquanta negli ultimi cinque anni, cento negli ultimi dieci. Senza contare tutti gli scomparsi, cioè le morti bianche. L’anno peggiore è stato il 2010 (14 vittime) tanto da costringere il governo a istituire la “Fiscalia Especial para la Atenciòn de Delitos cometidos contra la Libertad de Expresiòn” alle dipendenze dirette dalla procura generale di Città del Messico. La mattanza era stata tragica sotto il governo Calderon quando era stata adottata una strategia molto dura contro i cartelli della droga (più di settanta morti in sei anni, addirittura novanta secondo il sindacato dei reporter). Oltretutto si tratta di delitti praticamente impuniti e finanche senza indagini così da porre il Messico ai primissimi posti nella pericolosità di chi esercita la professione giornalistica, prima addirittura di territori insanguinati dalla guerra.

L’opinione pubblica è sconcertata (ed impaurita). Specie dopo il sacrificio della giovane Rosario, come chiamavano tutti la Rubio. Medico e blogger collaborava con il sito di notizie “Responsabilidad por Tamaulipas”. Sequestrata al confine con gli Stati Uniti è stata a lungo torturata e poi uccisa con un colpo in testa. Il suo account twitter, dove si firmava Melina, è stato violato ed è comparsa una foto del cadavere con una didascalia preoccupante: “La mia vita oggi è arrivata alla fine. Non fate gli errori che ho fatto io”. Per non dire del gruppo di studenti  rapiti e probabilmente giustiziati dai trafficanti. Anche i social network servono ormai per diffondere terrore.


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