BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La solitudine cedevole di un Paese allo stremo

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C’è un’ondata di violenza, apparentemente irrefrenabile, che rischia di distruggere le poche certezze rimaste, in un Paese sottoposto da vent’anni a una rissa verbale perenne, a una campagna elettorale senza requie, combattuta con toni indegni di una nazione civile e destinata a durare anche nel momento in cui sarebbe opportuno deporre le armi e imboccare la via del dialogo. È una violenza che ritroviamo nelle parole scagliate dal Presidente del Consiglio contro i sindacati: un linguaggio inadeguato per qualunque uomo politico ma oggettivamente inaccettabile se ad adottarlo è una figura istituzionale di così alto livello, cui è affidato il compito di rappresentare l’Italia nel mondo. Ed è una violenza che ritroviamo nelle reazioni scomposte, feroci e intollerabili di periferie ribollenti di rabbia e malessere, cui si aggiunge la convivenza forzata con gruppi di immigrati che, abbandonati a se stessi e relegati in zone della città in cui diventano facilmente invisibili, non possono che lasciarsi andare, trasformando una situazione di degrado in una bomba a orologeria destinata a deflagrare con conseguenze imponderabili.
Una violenza dall’alto e una dal basso, dunque, in un Paese sempre più fragile e in difficoltà, mentre la crisi morde e annienta ogni prospettiva di futuro per intere generazioni e mentre va in scena una sorta di guerra civile a intensità neanche troppo bassa, alimentata ad arte da chi sa di aver tutto da guadagnare dall’acuirsi dei conflitti sociali e, quindi, soffia sul fuoco della protesta, strumentalizzando le ragioni degli uni e utilizzandole contro quelle degli altri, cercando di dividere anziché di unire, per poi passare all’incasso alle elezioni e puntualmente deludere i cittadini, dato che sulla cenere ardente della disperazione collettiva è impossibile costruire un progetto di rinascita e integrazione, di accoglienza e comunità solidale in cammino. Bisognerebbe prima rimuovere le macerie e spazzare via la cenere ma ci vuole tempo e i rispettivi populismi non lo consentono: la guerra è guerra e questo è il prezzo della campagna elettorale permanente che dura dal ’94 e ormai ha contagiato tutti, anche perché, all’interno di essa, si è formata un’intera generazione di dirigenti che non disdegna affatto i toni urlati e la rapidità decisionale a scapito della forza del pensiero e della discussione.
Forze estremiste, certo, ma anche Renzi e il PD, che dovrebbero incarnare una solida cultura di governo, non si sono tirati indietro nella battaglia senza esclusione di colpi con i sindacati, provocando un clamoroso riavvicinamento fra la CGIL e la UIL e, per la prima volta dopo anni, l’isolamento della CISL. CGIL e UIL pronte allo sciopero generale, il prossimo 12 dicembre, e CISL che, comunque, incrocerà le braccia con il suo pubblico impiego il 1° dicembre, mentre il governo procede spedito come un treno nella direzione indicata dal suo condottiero e sembra essere sordo alle richieste provenienti dalle piazze che si moltiplicano e gridano la loro contrarietà a Jobs Act e Legge di Stabilità.
I precari, i disoccupati, i metalmeccanici, i lavoratori dei call center, gli insegnanti, gli infermieri: tutti gufi, rosiconi e disfattisti? Dubitiamo fortemente che queste categorie sappiano come sia fatta una tartina e di sicuro, pur detestando ogni forma di populismo, possiamo asserire che difficilmente il Premier correrebbe il rischio di incontrarle a una cena da mille euro, in quanto, come gli ha ricordato anche Maurizio Landini, molte persone con quella cifra devono provare a tirare avanti per tutto il mese.
E qui sta il nocciolo della questione: c’è una distanza crescente, diremmo quasi un abisso, fra il vertice e la base della società, fra chi può permettersi di pasteggiare con risotto e vino d’annata e chi è costretto a vivere in quartieri ridotti a discariche umane, in cui la polvere viene gettata costantemente sotto il tappeto, finché non fuoriesce, risvegliando gli istinti peggiori presenti in ciascuno di noi.
Un po’ come i fiumi che, dopo essere stati deviati e interrati, esplodono con violenza e spazzano via vite innocenti; un po’ come la natura e il paesaggio, sottoposti a continui sfregi e abusi, che franano e inghiottono gli esseri umani trasformati in cavie dall’avidità di certi costruttori senza scrupoli; un po’ come le vittime dell’amianto, ingannate, umiliate, uccise due volte: prima da quella fibra maledetta e poi dalle nostre leggi ingiuste, dalla nostra prescrizione troppo breve e senza eguali in Occidente per quanto concerne l’applicazione, dal nostro cinismo e dalla nostra indifferenza, incuranti del fatto che la silenziosa strage di Casale Monferrato riguarda tutti noi, che non possiamo considerarci estranei o assistere come spettatori passivi a questo spettacolo di morte perché nulla e nessuno ci può garantire che un domani non saremo noi a cadere sotto i colpi di questa società malata e priva di valori, intenta solo al profitto e all’arricchimento di pochi a scapito dei tanti, troppi ultimi senza volto di cui ormai sembra ricordarsi solo papa Francesco.
I dati crudi dei sondaggi dicono chiaramente che Renzi sta scendendo, che il gradimento degli italiani nei suoi confronti è diminuito ed è destinato a calare ulteriormente, forse a crollare, lasciando campo libero a forze la cui ascesa potrebbe mettere a repentaglio i princìpi fondanti del nostro stare insieme, contenuti in quella Costituzione di cui l’attuale classe dirigente che “divide et impera” non comprende fino in fondo l’attualità e l’importanza.
Cala perché, a sua volta, divide; cala perché non ha il coraggio di mettere la famosa “faccia” sulle innumerevoli tragedie intrecciate che stanno sfilacciando il tessuto sociale di un Paese allo stremo; cala perché grida invece di ascoltare; cala perché è “solo al comando” in una Nazione nella quale ormai nessuno si fida più di nessun altro, in una solitudine cedevole e arresa da ultimi giorni di Pompei, in una rassegnata attesa del peggio che contrasta nettamente con l’ottimismo di maniera di un Presidente del Consiglio forse rimasto vittima dei suoi sogni di gloria e della sua brama di potere.


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