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La fine delle ideologie, la politica pratica e la partecipazione

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Le ideologie sono finite, i partiti annaspano, i sindacati sono allo stremo, e nemmeno io mi sento tanto bene. Insomma, la politica non è più per ideali, ma è pratica, realistica, concreta, e vive nel momento e del momento, di quello che si può fare e nel modo in cui il contesto dato consente di farlo. E la partecipazione, sempre di più, diviene delega, quando non vera e propria investitura di quelli che una simile politica devono eseguire. Per questo diminuisce, e per questo nessuno di ciò ne fa un dramma. E nemmeno io.

Dopotutto, che cosa ci sarebbe da drammatizzare? Perché stupirsi? Peggio ancora, per quale motivo scandalizzarsi o provare sgomento? Senza le ideologie a far da quadro e da architettura generale, la politica diventa un affare da professionisti, semplicemente e solamente questo. Quei professionisti ed esecutori che devono mettere in atto, realizzare determinate e determinabili cose concrete, pratiche e realistiche, appunto: i consiglieri, i parlamentari, i ministri, gli assessori. Ecco, gli assessori. Ricordate il tempo in cui si temeva, e si stigmatizzava, il fatto che i partiti diventassero, o potessero diventare, appannaggio esclusivo degli assessori, intesi come gli interpreti di una peculiare mondanità del politico? Bene non solo quelli sono divenuti tutto e solo questo, ma l’intera politica è divenuta tale; una cosa che si fa così come si può, al di là delle divisioni filosofiche e ideologiche fatte da professoroni e intellettuali degli stivali di qualcuno.

Perché, insomma, a chi è utile parlare di destra e sinistra, se quello che ci serve è un centro storico ben curato, un ospedale nuovo, una scuola con le lavagne multimediali? A che serve sapere come siano gestite le periferie e l’inclusione sociale in città, quali politiche per la sanità siano condotte e a chi rivolte, e se quella scuola sia pubblica o privata? L’importante è che funzioni, no? No. Ma se provi a spiegarlo, ti guardano come se stessi mettendo un gettone nell’iPhone.

Perché è sue quelle questioni che passa la differenza. Perché, se il centro storico è perfetto, ma delle periferie nessuno si cura, tanto le abitano i poveri, se l’ospedale è quanto di meglio ci possa essere, ma il suo accesso è precluso a quelli che hanno minori disponibilità economiche, se la scuola è bella e funzionante, ma solo per i figli dei ricchi e di quanti possono permettersela, allora il segno politico è forte e chiaro, e pure la parte che si è scelta. E non è la mia. Quelli che dicono che “tanto è uguale”, mentono agli altri, e di solito lo fanno perché sono di destra. Quelli che a loro credono, di solito mentono a sé stessi, anche se sono di sinistra. Quelli che nemmeno vogliono provare a capire dove stia una parte e dove l’altra, di solito fanno male a quella più debole, avvantaggiando ancora la più forte.

Poi, ovviamente, ci sono quelli che non si fanno domande e si accontentano, e sono tanti, dei centri storici ben curati, degli ospedali nuovi, delle scuole con le lavagne multimediali. E dei treni che arrivavano in orario.


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