Dunque si poteva fare, si poteva scongiurare il licenziamento dei lavoratori e degli artisti dell’Opera di Roma. Si poteva fare da questa estate, ma evidentemente il sovrintendente Fuortes e il sindaco di Roma, Marino, volevano giocare a fare “i moderni”. Andiamo con ordine.
I sindacati annunciano che nella notte tra il 17 e il 18 novembre è stato raggiunto un accordo molto positivo che scongiura il ricorso al licenziamento dei lavoratori e degli artisti del Teatro dell’Opera di Roma. Silvano Conti, coordinatore nazionale Cgil per la Cultura e lo Spettacolo è davvero raggiante per il risultato raggiunto: “credo che i lavoratori abbiano dimostrato per l’ennesima volta di essere responsabili. Gli orchestrali si sono autodecurtati gli stipendi in media di 200 euro netti al mese e l’accordo prevede risparmi per oltre 3 milioni, che saranno soprattutto a carico dei dipendenti. Ora ci auguriamo che il ministro scelga dei manager competenti per la gestione del teatro”. L’accordo è stato siglato da tutte le organizzazioni sindacali e dal direttore del personale del teatro dell’Opera.
In mattinata giunge il comunicato del sindaco Marino, che è davvero una perla di equilibrismo e di inutile tatticismo, per negare una sconfitta che è innanzitutto culturale. Era stato il sindaco Marino, nel corso della conferenza stampa in cui annunciava perentoriamente il licenziamento e il ricorso alla cosiddetta “esternalizzazione” come una conquista della “nuova sinistra”. Allora, era il 2 ottobre scorso, l’ineffabile sindaco aveva tuonato: “Questo è l’unico percorso che può portare a una vera rinascita dell’Opera. Quindi il cda ha approvato esternalizzazione di orchestra e coro del Teatro dell’Opera votando la procedura di licenziamento collettivo”. Prontamente sostenuto dal ministro alla Cultura Franceschini, per il quale licenziamento ed esternalizzazione erano “passaggi dolorosi ma necessari per salvare l’Opera di Roma”. Insomma, il sindaco, il ministro e il sovrintendente, lo scorso 2 ottobre facevano la voce grossa, e sostenevano che è di sinistra licenziare ed esternalizzare. Oggi, ad accordo raggiunto, grazie alla mediazione dei sindacati e alla volontà dei lavoratori, leggiamo comunicati del sindaco in cui si dice che: “La posizione di fermezza e l’aver messo sul tavolo anche la scelta più difficile, quella dell’esternalizzazione, evidentemente ha costretto tutti a riflettere sulle proprie posizioni. Il risultato raggiunto permette di guardare al futuro evitando l’esternalizzazione. Ora tutti, dal Cda all’orchestra e tutti i dipendenti devono lavorare perché l’Opera di Roma possa guardare a traguardi e successi sempre più grandi, anche al di là dei confini italiani. Per questo risultato ringrazio il sovrintendente Carlo Fuortes, le organizzazioni sindacali e l’assessore Marinelli che hanno lavorato con la massima apertura per il suo raggiungimento. E spero che questo possa convincere anche il Maestro Muti, che resta in ogni caso direttore onorario a vita, col tempo, a rivedere le sue decisioni”.
Insomma, secondo questa logica, se va in porto il licenziamento, siamo la vera nuova sinistra del “merito”, se si scongiurano i licenziamenti è per effetto della “posizione di fermezza”. C’è qualcosa che non va in questo ragionamento. C’è qualcosa che non va nella cultura politica della cosiddetta “nuova sinistra”, offuscata da una confusione ideologica evidente. Fatto è che i sindacati, “i trogloditi”, portano a casa un risultato importantissimo per la vita di centinaia di famiglie, e salvano contemporaneamente, aderendo ad un contratto di solidarietà, lo storico Teatro dell’Opera. Si poteva fare già in estate, e poi a ottobre. Si è preferito gonfiare il petto e usare il pugno di ferro dell’ideologia “modernista”, che sacrifica il lavoro in nome di un presunto “merito”. Il caso del successo sindacale e del movimento dei lavoratori del Teatro dell’Opera dimostra, una volta ancora, che quando si vuole, la mediazione politica è necessaria in un sistema democratico aperto, che considera il lavoro come un valore e le risorse pubbliche come strategiche, anche nell’economia generale di una metropoli o di un intero Paese.
Da jobsnews.it