Condivido quel che scrive Galli della Loggia sul Corriere della Sera: “Non sembra proprio che oggi gli italiani sentano il bisogno di «discorsi», quanto piuttosto di soluzioni tangibili, di proposte e progetti concreti”. Lo scrive a proposito delle sinistre Pd: “Nella situazione drammatica in cui si trova, il Paese ha bisogno di una cosa più di ogni altra: di un’idea capace di unirlo e di portarlo in salvo”. Insomma, ha bisogno di una politica. E se non è quella di Renzi, qual è?
I tre grandi quotidiani scelgono ognuno un tema, per illustrare le difficoltà del governo. La Stampa. l’incontro con Napolitano, che ieri ha chiesto al Premier un percorso condiviso per le riforme, cioè di non procedere con strappi e scontri, e di “cancellare il sospetto delle elezioni anticipate”. La risposta del premier è stata: obbedisco ma a modo mio. Ecco il titolo: “Riforme entro gennaio”. Ciò vuol dire cambiare la legge elettorale al Senato e la riforma costituzionale alla Camera, prima di procedere all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Perché che Napolitano lasci presto, ormai, non è più solo un’ipotesi.
Il Corriere insiste, invece, sulla “Resa dei conti in Forza Italia”, che rende più arduo poter contare sul Patto del Nazareno. “Mai gregario di qualche Matteo”, avrebbe detto Fitto, e Berlusconi ha dovuto ingranare la retromarcia e spiegare che la metafora calcistica -Salvini goleador, io regista – non era un’investitura del leader leghista. Il vero scontro, però, è sulla legge elettorale. Berlusconi vuol dire sì al premio di maggioranza (che Renzi chiede per il partito e non per la coalizione) perché è ossessionato dal pericolo che il Pd elegga un Presidente della Repubblica con i 5 stelle. Basta guardare il Giornale: “Sinistra anti Renzi. Prodi guida il complotto”. Non è vero, naturalmente, ma serve per dire ai senatori di Forza Italia: teniamoci stretto Matteo.
Repubblica titola “Rischio Senato per il jobs act. Battaglia nel Pd”. E questo mi pare un assist a Renzi. Mi spiego: ieri il senatore e sottosegretario Pizzetti girava per Palazzo Madama a chiedere se i dissidenti avessero voluto e potuto bocciare il jobs act. Certo che no! Se la matematica non è un’opinione. In occasione della prima fiducia, infatti, su di un testo giudicato peggiore dell’attuale, solo in tre (Casson, Mineo, Ricciuti) non parteciparono al voto, un quarto (Tocci) votò sì per poi dimettersi dal Senato (e ieri le sue dimissioni sono state respinte). Il provvedimento è stato approvato senza rischi. Ora, dopo le modifiche della Camera, perché mai la protesta dovrebbe estendersi? La verità è che Renzi vuole di nuovo la fiducia, per dimostrare tutta la sua grinta e determinazione. Così un giornalista di Repubblica, Tommaso Ciriaco, mi chiede a freddo: “fiducia”? Gli rispondo che non avrebbe senso che lo considererei un insulto al Senato e non potrei votarla. Quella risposta (solitaria) si trasforma in alibi per imporre ancora la fiducia!
Intanto Confindustria vede una schiarita per l’economia. E il Fatto commenta: “Jobs act, la legge di Renzi l’ha scritta Confindustria”. Ma il vero editoriale lo scrive Vauro. “Pd. Renzi non teme la scissione dei dissidenti”. “Io non mantengo le promesse (spiega Renzi)…loro non mantengono le minacce”. Torno all’incipit. In politica il vuoto non esiste e il Segretario del Pd, oggi in difficoltà, ha persino ragione a tirare dritto per la sua strada. Giacché nessuno ne propone un’altra. S’illudono – scrive Galli della Loggia – gli antirenziani del Pd se credono che l’Italia possa essere governata sulla base delle ragioni dei disoccupati, dei metalmeccanici e dei pensionati”. A meno che quelle ragioni non fondino un progetto, non diventino proposta politica e “disegnino un futuro plausibile per tutti”.