La visita lampo di Ban Ki-moon a Mogadiscio del 29 ottobre è arrivata nel pieno del conflitto istituzionale tra il Presidente della Repubblica Hassan Sheikh Mohamud e il Primo Ministro Abdiweli Sheikh Ahmed. Il secondo, infatti, alla vigilia dell’arrivo del Segretario generale dell’ONU, al culmine del dissidio che da tempo covava, aveva declassato Farah Abdulqadir, braccio destro del Presidente e mente della setta islamica Damul Jadid, da Ministro della giustizia e della Costituzione, a Ministro per la zootecnia e veterinaria. Ban Ki-moon aveva invitato a sedare il dissidio il più rapidamente possibile.
Ma ad oggi la lite non è rientrata nonostante il rinnovato sollecito di domenica scorsa di Nicholas Kay quale Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Somalia.
Per vero il suo intervento, iniziato con espressioni di rincrescimento per il conflitto istituzionale in corso e con l’invito alla pacificazione, ha gettato benzina sul fuoco quando ha scritto di aver saputo che alcuni parlamentari erano pronti a votare una mozione di sfiducia nei confronti del Primo Ministro in cambio di denaro da parte di Damul Jadid. Ed ha rincarato la dose affermando che denuncerà all’ONU chiunque ostacolerà il percorso della Road Map di pacificazione somala.
Al comunicato di Nicholas Kay hanno fatto seguito quelli di Unione Europea, Usa, UA, IGAD, tutti unanimi nel sostenere il proseguimento dell’esecutivo di Abdiweli.
Il noto vignettista somalo Amin Amir, sempre attento a questi aspetti della vita pubblica, si è sbizzarrito per la gioia dei somali sulla denuncia di Nicholas Kay della corruzione dei parlamentari, finalmente capace di spiegare, oggi, anche l’improvvisa caduta in Parlamento del precedete Primo Ministro Shirdon nel 2013.
Del resto, la denuncia di corruzione parlamentare formulata da Nicholas Kay viene dopo quella di Yussur Abrar, la banchiera americana di origine somala dimessasi da capo della Banca Centrale lo scorso anno denunciando tentativi di corruzione nell’entourage del Presidente e dopo ripetute analoghe denunce del Gruppo di Monitoraggio per Somalia ed Eritrea, tanto da costituire oggetto di articoli continui sulla stampa.
A tutti ha risposto il Presidente Mohamud con un comunicato di ieri col quale, mentre dichiarava apprezzamento per le preoccupazioni della comunità internazionale, affermava che il modo migliore per sostenere la Somalia consiste nel rispettarne al sovranità mentre il sostegno ai leader consiste nel consentire loro di risolvere le divergenze con mezzi legittimi ed all’interno delle istituzioni esistenti.
Ma per parlare di sovranità uno Stato deve avere l’unità del suo popolo e del territorio ed il controllo economico e militare: requisiti che la Somalia del Presidente Mohamud non possiede autonomamente salvo le due regioni settentrionali del Somaliland e del Puntland, entrambe dotate di una forte autonomia e di istituzioni democraticamente elette.
Del resto, nel mondo globalizzato tutte le sovranità sono limitate e la Somalia, dove non occupata dagli Al Shabab, si regge con la missione di peacekeeping dell’Unione Africana sostenuta dall’ONU e con i fondi della comunità internazionale. Può dirsi, quindi, che Nicholas Kay, massimo esponente di quella stessa comunità internazionale che la sostiene militarmente ed economicamente, ha in Somalia più voce in capitolo di Mohamud e gode della fiducia del popolo somalo nel portare a conclusione la Road Map dell’ONU per le elezioni a suffragio universale nel 2016.
Il Presidente Mohamud, contrapponendosi alla comunità internazionale come ha fatto con il comunicato del 3 novembre, nuoce gravemente alla Somalia quando non risponde alle accuse di corruzione e di vicinanza agli Al Shabab di alcuni suoi consiglieri.
Troppo numerose e circostanziate sono le accuse di promiscuità tra Mogadiscio e gli Al Shabab.
E’ del 30 ottobre la strana ed improvvisa morte del Capo della Polizia somala Gen. Mohamed Sheikh Hassan Ismail la cui nomina nel luglio scorso era stata il primo motivo di tensione tra il Presidente Mohamud ed il Primo Ministro Abdiweli. Per il sospetto di avvelenamento, il corpo del Generale è stato portato a Nairobi per l’autopsia. L’indagine ha già portato all’arresto di medici e ristoratori, ma il Generale, prima di morire, ha fatto in tempo a svelare un traffico di armi proveniente dal Somaliland ed indirizzato ad Al Shabab nella città di Jilib. Al porto di Mogadiscio, con la complicità di società e uomini d’affari, era arrivato un container che conteneva bombe molto sofisticate comprate in Iran, transitate da Berbera in Somaliland e, quindi, da Mogadiscio destinate a Jilib, città non lontana da Barawe, ex roccaforte dei jihadisti.
Il Gen. Mohamed Sheikh Hassan Ismail è stato il primo capo della polizia non scelto da Mohamud ed è stato il primo a scoprire il traffico di armi in transito da Mogadiscio per Al Shabab.
Fonte: http://primavera-africana.blogautore.repubblica.it/?ref=HROBA-1