“il manifesto” rappresenta un’esperienza straordinaria, che deve vivere e varcare definitivamente la linea d’ombra della crisi che l’ha investito con l’amministrazione controllata. A fine anno, infatti, la testata verrà messa all’asta e la cooperativa del giornale intende acquistarla. Giustamente. L’indipendenza e la libertà si tutelano anche così. Le condizioni di un mercato, quello dei giornali, sempre più in crisi rischiano di devastare definitivamente un settore da tempo in difficoltà. Tra l’altro, le già ridottissime risorse pubbliche del Fondo dell’editoria non si sa che fine faranno, nella tormentata vicenda della Legge di Stabilità. Quindi, è giusto appoggiare la coraggiosa iniziativa “mi riprendo il manifesto”, che ha avuto lo scorso giovedì un grande successo con la vendita straordinaria in edicola a 20 euro, nell’ambito della sottoscrizione lanciata: come un “Salto con l‘asta”.
L’informazione vive oggi un periodo di particolare declino, non solo sul piano economico. Siamo nella stringente fase di transizione dall’era analogica a quella digitale. Dalla carta alla rete. Tuttavia, sarebbe un errore immaginare chiusa l’epoca dei giornali. Uno studio interessante del “New York Times” ha chiarito che la storia stampata non si chiude, ma se mai si trasforma. Luogo più riflessivo, il quotidiano si intreccia bene con la sua versione on line, da vedere non come il concorrente, bensì come l’altra faccia della medaglia. News allargate, commento non astratto e paludato, dieta mediatica di maggior ricchezza. Ecco, “il manifesto” ha anticipato, in qualche modo, la tendenza, introducendo una cifra stilistica peculiare: la notizia commentata e genuinamente di tendenza. Un giornale schierato, ma capace di inseguire la verità, dando voce e spazio alle contraddizioni sociali vecchie e nuove. Non solo. Rispetto all’antico dibattito sul rapporto con il partito e la politica, “il manifesto” ha preso una strada originale e interessante: la voce di un partito che non c’è, la metafora di come si vorrebbe la sinistra moderna, né passatista né nuovista. Sono tanti i motivi, insomma, per cui il “quotidiano comunista” deve affrancarsi. Per sé e per tante testate di opinione che resistono, malgrado le varie sfumature delle censure in atto.