Non si è ancora spenta l’eco delle polemiche per la sentenza della Cassazione di qualche giorno fa che ha prescritto il reato commesso dal magnate svizzero Stephan Schimdheiny, in quanto non sarebbe a lui imputabile il disastro sociale e ambientale avvenuto a Casale Monferrato dopo il 1986, anno di chiusura della fabbrica. Come se quelle polveri maledette non fossero rimaste ad avvelenare l’aria, come se i cortili, i tetti e tutti gli altri manufatti realizzati e distribuiti a piene mani nel corso degli anni non avessero causato la morte di tremila persone, al di là degli operai che lavoravano alla Eternit, con l’incubo del picco dei morti previsto per il quinquennio fra il 2020 e il 2025. Già, Schmidheiny il cattivo, Schmidheiny il colpevole, Schmidheiny il responsabile: tutto giusto, ma non è certo il solo. Perché anche la politica si è voltata dall’altra parte, anche l’informazione non ha svolto a dovere il suo mestiere, anche l’opinione pubblica ha preferito dire “a me che importa”, in un circolo vizioso di indifferenza e menefreghismo che si è spezzato solo quando il numero delle vittime non è stato più contenibile in una semplice tabella statistica.
Come deve agire un magistrato quando si trova di fronte al dilemma di dover scegliere fra diritto e giustizia? Le è mai capitato?
Ci tengo a dire subito che non condivido per niente la decisione della Corte di Cassazione perché si tratta di una scelta interpretativa, assolutamente non vincolata né necessitata. La Cassazione avrebbe potuto far sua l’interpretazione utilizzata dai giudici di primo e secondo grado, i quali hanno dato spazio ai princìpi costituzionali in merito ai diritti costituzionali e della salute, e invece si è fermata a un’interpretazione molto formalista, molto rigida che si allontana molto dall’equità e dalla giustizia. In vari casi succede che proprio l’impostazione delle norme dia la possibilità ai giudici di effettuare interpretazioni diversificate: io sono convinto che, avendo un faro nel nostro ordinamento costituzionale, esso dovrebbe illuminare le scelte dei giudici, cosa che nel caso della sentenza Eternit non è certamente accaduto.
Ha scritto Severgnini sul “Corriere della Sera” che non sono accettabili né i “colpevoli per forza” né, tanto meno, gli “innocenti per debolezza”. Come valuta quest’affermazione?
È una frase che non dice assolutamente nulla: è una frase astratta che non si confronta né con i morti né con il diritto. Detta così, vuol dire tutto e niente. Confrontiamoci col caso specifico e vediamo che anche con queste norme, forse in parte ambigue, era possibile arrivare a una sentenza di condanna dei responsabili, com’era avvenuto in primo e secondo grado.
A tal proposito, Guariniello ha detto ai familiari delle vittime di non arrendersi, ribadendo la volontà di andare avanti nella sua battaglia affinché abbiano giustizia almeno i parenti degli operai che lavoravano alla Eternit. Cosa può e cosa deve fare la giustizia italiana?
Guariniello ha fatto benissimo a dirlo perché in questo caso può essere contestato, quanto meno, l’omicidio colposo plurimo, se non forme più gravi di omicidio. Ricordo che nel 2005 mi occupai, come magistrato, dei morti d’amianto alla Fincantieri Breda di Porto Marghera: in quel caso, c’erano degli operai morti per mesotelioma pleurico, per tumore ai polmoni, e c’era anche il dramma di tre mogli di operai morte di mesotelioma per aver lavato per trent’anni le tute da lavoro dei mariti. Questo processo è andato avanti con condanne in primo grado, in secondo grado e anche in Cassazione e questo dato è estremamente importante e varrà pure per i casi delle altre morti che si sono verificate a Casale Monferrato.
Ha scritto Revelli su “il manifesto”: “C’è il vento gelido di un nuovo statuto del mondo che da tempo viene avanti nei luoghi dove si conta e si decide, nelle Cancellerie e nei Consigli d’amministrazione, nei think tank e nelle cabine di regia dei media. Un nuovo comandamento, che dice che <<il denaro è tutto, il lavoro è niente>>. Anzi, che la vita delle persone, che del lavoro è componente prima, è niente”. Si ritrova in questa valutazione?
Mi ci ritrovo, però aggiungo che non è il caso solo di quest’ultima sentenza perché purtroppo, per quanto riguarda i morti d’amianto, sentenze di questo tipo sono piuttosto frequenti. Ricordo che, per quanto concerne il grande processo al petrolchimico di Marghera per i morti a causa del cloruro di vinile monomero, i giudici in primo grado avevano assolto sostanzialmente tutti con formule varie mentre in appello eravamo arrivati alle condanne degli amministratori delegati di Montedison, condanne poi confermate in Cassazione. Situazioni di questo tipo si verificano quando prende il sopravvento l’aspetto del profitto o della modernità economicistica e viene posto in secondo piano il valore della persona e la tutela della salute umana.
Il Presidente del Consiglio ha parlato di una riforma della prescrizione. In che direzione dovrebbe andare, a suo giudizio?
Basterebbe che il governo desse il via libero ai disegni di legge che ho presentato come primo firmatario, insieme ad altri senatori, su questa materia. E basterebbe, in particolare, che desse il via libera politico al voto degli emendamenti già presentati in Commissione Giustizia al Senato: basterebbero due giorni per avere questa votazione. Vedremo cosa succederà ma il problema è squisitamente politico perché quando si parla di amianto, di prescrizione o di lotta alla corruzione, la maggioranza si spacca, visto che il Nuovo Centrodestra vota sempre insieme alla Lega e a Forza Italia. Esiste, dunque, un problema politico che va risolto.
Si discute molto di Jobs Act: ormai siamo in dirittura d’arrivo. Cosa si può fare, in concreto, per inserirvi norme di contrasto all’inquinamento ambientale e a tutela della salute e dell’incolumità dei lavoratori?
Premetto che il Jobs Act in Senato io non l’ho votato e osservo, come peraltro ho già fatto notare in ambito istituzionale, che di sicurezza dei lavoratori il Jobs Act sostanzialmente non si occupa, come se fosse un aspetto completamente dimenticato o, comunque, da dimenticare. Invece questo è uno degli aspetti fondamentali, ricordato anche dalla nostra Costituzione che all’articolo 41 afferma sì la libertà d’iniziativa economica ma precisa che essa non può essere in contrasto con la sicurezza, la libertà e la dignità delle persone. Basterebbe applicare la Costituzione e dare un segno di volontà politica in questo senso.
Voglio concludere con due domande legate a una delle grandi piaghe del nostro tempo: l’indifferenza. Si è parlato molto delle responsabilità di Schimdheiny, delle responsabilità dei magistrati della Cassazione ma quali sono le responsabilità della politica in questa vicenda?
La responsabilità maggiore, per quanto riguarda Casale Monferrato e i tanti altri casi di ingiustizia legati all’amianto che si verificano ogni giorno in Italia, è senz’altro della politica. Sono anni che sono pendenti, in particolare in Senato, norme a tutela dei lavoratori e della popolazione esposta all’amianto e non c’è la volontà politica di farle andare avanti. Sono anni, come dicevo, che anche in materia di prescrizione e lotta alla corruzione sono presenti in Parlamento, in Senato, proposte concrete e specifiche che non si vogliono far andare avanti. In questa insofferenza, in quest’indolenza, in questa mancanza di volontà, c’è una responsabilità enorme della politica.
Tralasciando le enormi responsabilità del giornalismo e dell’informazione in generale, quante colpe ha, invece, l’opinione pubblica che si è voltata dall’altra parte finché non sono cominciati i morti?
Distinguerei, dicendo, innanzitutto, che c’è un problema di sensibilità sociale e di etica che dovrebbe essere sottolineato e valorizzato. Detto questo, le persone, l’opinione pubblica che non si preoccupa di cosa succede in materia di amianto danno segno di insipienza perché, se giriamo per le nostre fabbriche e per le nostre campagne, troviamo manufatti di amianto vecchi e obsoleti che si stanno sfaldando sempre di più, procurando rischi di inquinamento ambientale da fibre di amianto sempre più considerevoli. Aggiungiamo che il picco dei morti d’amianto è previsto per il 2020-2025 e, quindi, c’è una situazione pericolosa per la popolazione. Dimenticarsene e far finta di niente è follia allo stato puro.