Non è semplice la realizzazione del sogno veltroniano di un partito democratico a vocazione maggioritaria quando, a ormai quasi 20 anni dalla nascita de L’Ulivo (era il 1995) ci si trova di fronte all’ennesima crisi. Non è evidente ma ancora una volta la politica tenta di ricucire lo strappo con gli elettori dopo il drammatico calo degli elettori alle regionali di Emilia Romagna e Calabria. E le ricuciture con gli elettori portano agli strappi interni ai partiti. Il Pd di Renzi viene mal digerito da quella che era la vecchia componente diessina. Chi più, chi meno, non ama la guida di Matteo Renzi. C’è chi vuole cambiare il partito dall’interno, chi dalla finestra chi dall’esterno. Ma il risultato non cambia. L’incontro di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è l’ennesimo “punto” sullo stato dell’arte delle riforme. Un Presidente sempre più anziano e stanco vorrebbe avere qualche certezza almeno prima di dare l’addio al Quirinale con l’anno nuovo. Ma quella certezza, nonostante le sicurezze mostrate dal Premier, non ci sono.
Il Jobs Act passa alla Camera, è vero, e passa senza voto di fiducia. Ma solo con 316 voti. Ma ora tornerà al senato per l’ultima lettura. Lì la fiducia sarà necessaria e, nonostante la nuova prova di forza, non è detto che il voto non possa riservare sorprese. La riforma elettorale pone un interrogativo alle forze di maggioranza e a quelle di opposizione. Ai più piccoli che ancora non hanno certezza delle soglie. Ai più grandi, Forza Italia e Pd che, sul premio di maggioranza alla lista o alla coalizione, si trovano a discutere al proprio interno senza una linea comune. Sulle preferenze e sui capilista nominati che rimettono al centro della discussione un ulteriore vizio di costituzionalità per certi versi simile al Porcellum.
Le riforme condivise, che Napolitano vorrebbe ancor più larghe di quelle immaginate tra maggioranza di governo più Forza Italia, rappresentano un problema, quello sì, condiviso. La situazione economica interna e i 315 miliardi di investimento della Commissione Junker sono ancora sogni. I dati della crisi non migliorano. I soldi dall’Europa veri sono 21 miliardi e dovrebbero scatenare una leva di 1 a 15 per arrivare a quei 315 miliardi: sollecitando investimenti “liberali” degli stati più ricchi e interventi privati. Una sfida difficilissima. E la coperta troppo corta vale anche per la riforma del lavoro che non è estensione dei diritti tout-court. Diminuiscono i diritti per alcune fasce di lavoratori che ora ne avranno di meno, la certezza della nascita di nuovi posti di lavoro non c’è, la leva fiscale del lavoro resta comunque alta e non si prevedono al momento investimenti forti nelle infrastrutture e nel recupero del territorio che potrebbero raggiungere gli obiettivi di maggiore occupabilità. Le casse delle imprese italiane sono semivuote ed è difficile pensare che la riduzione delle tasse nei loro confronti possa riuscire a far partire investimenti diretti.
Ed è anche per questa situazione che all’interno di Forza Italia c’è chi, come Fitto e i suoi, si vorrebbero sganciare da qualsiasi responsabilità, compresa quella di un parere non chiaro nei confronti dell’esecutivo Renzi.
Appuntamento dunque, per il chiarimento, alla prossima settimana.
Ma anche nel partito vincente, La Lega, le cose poi non è che scavando vanno bene. Salvini è arrivato alla guida del Partito grazie al famoso patto dei triumviri. Lui, Maroni e Tosi. Alleanza con ruoli ben specifici. A Matteo Salvini la segreteria del Carroccio, a Roberto Maroni la guida del Pirellone e a Flavio Tosi l’investitura di candidato a premier della Lega per una alleanza possibile con il centrodestra. Due dei tre tasselli sono andati a buon fine ma ora Matteo Salvini rivendica apertamente un ruolo che non era stato tagliato per lui. Siamo convinti che il triumviro Cesare Flavio Tosi non marcerà contro l’ex amico Pompeo Matteo Salvini? E Roberto Crasso Maroni che farà?
La giornata dei cinque stelle passa tranquilla. Si discute se e come andare in Tv. Anche se Cecconi è chiaro su un fatto.
Ma il disastro elettorale del Movimento Cinque Stelle fa le prime vittime. I Parlamentari Pinna e Artini che avevano sollevato obiezioni rispetto all’atteggiamento del Movimento legandolo al risultato elettorale e hanno avanzato critiche, si preparano ad essere espulsi. Non avrebbero versato parte delle quote. Da tanto tempo, si legge sul Blog di Beppe Grillo. Un vecchio leader di Forza Italia parlerebbe di “giustizia ad orologeria”.