«Ci saranno altre demolizioni di case – ha avvertito il premier Netanyahu – Siamo determinati a riportare la sicurezza a Gerusalemme…Non tollereremo attacchi ai nostri cittadini»
Benyamin Netanyahu ieri ha visitato un nuovo comando di polizia a Gerusalemme, dove operano unità speciali per monitorare ogni punto e ogni movimento nella zona araba della città. Tra strette di mano e le spiegazioni del sindaco Nir Barkat, il premier israeliano ha ribadito la linea dura annunciata l’altra sera dopo l’attentato compiuto da due palestinesi nella sinagoga di Har Nof in cui sono stati uccisi quattro rabbini e un agente di polizia (Zidan Seif di origine drusa, sepolto ieri). «Questa mattina abbiamo demolito (a Silwan) la casa di un terrorista – ha detto Netanyahu, in riferimento all’abitazione di Abdel Rahman Shaludi, accusato di aver ucciso intenzionalmente con la sua auto una bimba e una donna lo scorso 22 ottobre. «Ci saranno altre demolizioni di case – ha avvertito – Siamo determinati a riportare la sicurezza a Gerusalemme…Non tollereremo attacchi ai nostri cittadini».
Non si conoscono tutte le misure che il governo Netanyahu sta adottando o adotterà per mettere fine a quella che, più gli israeliani che i palestinesi, chiamano «l’Intifada di Gerusalemme». La demolizione di case appare un pilastro di questa strategia di punizione collettiva, che risale ai tempi del Mandato britannico sulla Palestina. Gli inglesi pensarono con la distruzione di abitazioni, la detenzione senza processo e provvedimenti simili, di poter spegnere l’ansia di autodeterminazione delle popolazioni locali. Alcune di quelle misure sono state assorbite dall’ordinamento militare israeliano in vigore in Cisgiordania e sono state la base degli ordini di demolizione che di recente sono stati consegnati a cinque famiglie palestinesi nel nord del villaggio di Hajja (Qalqiliya). Non per motivi di sicurezza in quel caso ma per illegalità degli edifici costruiti senza i permessi edilizi. Permessi che le autorità militari israeliane rilasciano con il contagocce nell’area C (il 60% della Cisgiordania) sotto il loro pieno controllo. Nel 2014 Israele ha demolito almeno 543 case ed edifici palestinesi in Cisgiordania secondo i dati raccolti delle Nazioni Unite. Almeno 27.000 costruzioni palestinesi sono state demolite da Israele dal 1967. Gerusalemme Est non è stata immune dalla distruzione di case costruite senza permesso. Ora però si parla di demolizioni sistematiche delle case dove vivono o vivevano i palestinesi responsabili di attacchi contro cittadini israeliani. Una punizione che colpisce soprattutto i i loro parenti. Contro queste misure punitive, come la demolizione delle case, si è espresso di recente anche il centro israeliano per i diritti umani, Betselem. Ciò mentre il comune di Gerusalemme ha approvato un progetto per la costruzione di 78 case nelle colonie israeliane nella parte araba della città: 50 ad Har Homa e 28 a Ramot. Una decisione che, per il portavoce della presidenza palestinese, Nabil Abu Rudeina, causa nuove tensioni e spinge verso un’ulteriore escalation.
Misure sempre più pesanti a Gerusalemme Est sono invocate da più parti. Naftali Bennett, ministro dell’economia e leader dei religiosi nazionalisti che popolano le colonie israeliane, vuole un’operazione militare nella zona araba della città santa. Operazione che, ha spiegato alla radio militare, dovrebbe ispirarsi a quella durissima del 2002 in Cisgiordania, durante la seconda Intifada. Arye Bibi, ex capo della polizia a Gerusalemme, ha spiegato al giornale online The Jerusalem Times, che la soluzione non sta nel rafforzare le misure di sicurezza nella zona ebraica della città ma nel mandare ingenti forze di polizia a Gerusalemme Est, allestendo posti di blocco e anche con frequenti visite degli ispettori del fisco nei quartieri palestinesi. Non solo. Arye Bibi chiede, oltre alla demolizione delle case, che siano espulsi da Gerusalemme e deportati in Cisgiordania le famiglie dei responsabili degli attacchi.
Suggerimenti in parte già accolti. Oltre ai nuovi reparti della guardia di frontiera, a pattugliare le strade di Gerusalemme Est ci saranno anche i commando dell’unità speciale della Marina militare Shayetet 13. Nella città vecchia sono stati aggiunti sei checkpoint. «Abbiamo dispiegato mille nuovi agenti oltre ai tremila già operativi, sia nella parte est sia nella parte ovest della città», ha riferito il portavoce della polizia Micky Rosenfeld.
Allo stesso tempo l’attentato alla sinagoga di Har Nof, ha riacutizzato la forte differenza fra l’ebraismo ortodosso e il sionismo religioso che orienta il governo israeliano. All’origine del contrasto c’è il divieto assoluto per gli ebrei ortodossi di ascendere sul monte dove, per la tradizione biblica, sorgeva il Tempio di Gerusalemme e che ora ospita la Spianata delle Moschee perchè “non puri” per entrare in un luogo così sacro. Di parere opposto i nazional-religiosi. «Occorre rilevare che i religiosi ebrei che salgono sul Monte del Tempio agiscono sia contro la ortodossia ebraica sia contro ogni razionalità politica. Un miliardo e mezzo di musulmani vedono che essi cercano di alterare lo status quo sulla Spianata, e tutto ciò crea escalation e fermenti», ha spiegato il deputato ortodosso Moshe Gafni. Martedì anche Yoram Cohen, capo dello Shin Bet (servizi di sicurezza) aveva messo in guardia dal creare ulteriori tensioni nella Spianata.
Pubblicato anche su il Manifesto
Da perlapace.it