Un tale, che si definisce dirigente del sindacato autonomo di polizia, ha ritenuto “male” di accompagnare la disgraziata sentenza sul caso Cucchi con parole di questo tenore: “Chi conduce una vita dissoluta non può che finire così…”. Nelle sue intenzioni tali parole avrebbero dovuto rappresentare la condanna per Stefano Cucchi, il dissoluto, e per la sua famiglia che non avrebbe saputo prevenire la dissoluzione. Peccato che, persino la sentenza sia stata costretta a riconoscere che Stefano sia entrato con le sue gambe e sia uscito morto e le cause di questo decesso non possano che essere ricercate in quello che è accaduto in un luogo dello stato ad opera di uomini dello stato, in questo caso con la s minuscola. A meno che non si voglia sostenere che Stefano si sia “autopestato” e che le ultime foto siano un selfie da lui realizzato per far ricadere la colpa su persone dabbene ,virtuose e morigerate (termini che il vocabolario indica tra i contrari di dissoluto..). Resta il solo dubbio che questo sindacalista in divisa non abbia voluto, invece, con quella espressione indicare i presunti colpevoli del pestaggio, quelli che hanno causato la morte di Stefano perché, in questo caso, i conti tornerebbero: “Chi conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze…”. Forse, “a sua insaputa”, quel tale ha individuato i “dissoluti” che hanno fatto del male a Stefano e alla sua famiglia; ora spetta allo Stato, con quello con la S maiuscola, individuarli e far pagare loro le legittime conseguenze.