BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

A chi giovano certi allarmismi?

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Scena 1. Esterno giorno. Piazza Indipendenza. Roma.

In un video trasmesso dalla trasmissione Gazebo, girato da Diego Bianchi, e subito messo in Rete, si vede e si ascolta chiaramente che quella di Piazza Indipendenza contro gli operai della AST di Terni fu una vera e propria carica della Polizia. Si conferma, dunque, ciò che è sempre stato testimoniato dagli operai e dai dirigenti della Fiom, per i quali il corteo stava muovendosi in una direzione opposta alla stazione Termini, e che il segnale “Caricate” venne dato da un funzionario della Polizia. Nel video di Gazebo, emerge in primo piano il viso sempre più preoccupato e sgomento e attonito di Maurizio Landini, leader della Fiom, che assiste impotente alle improvvise e improvvide manganellate su sindacalisti e operai. Le parole di Landini, rivolto ai funzionari e ai poliziotti in tenuta antisommossa, si odono chiaramente, mentre accanto a lui passano persone pestate e insanguinate: “Che cazzo fate? Che cazzo fate? Siamo gente come voi!”. Questa inoppugnabile verità contrasta con quanto ha solennemente e ufficialmente dichiarato il ministro dell’Interno Alfano nel corso dell’informativa alla Camera dei Deputati, secondo la quale il corteo si muoveva verso la stazione Termini con l’intenzione di occuparla, e che dunque si trattò di una sfida del corteo operaio contro lo schieramento della polizia. Alfano aveva in qualche modo giustificato la “reazione” violenta della polizia, scaricando sul corteo operaio la responsabilità della provocazione. Il video di Gazebo smentisce questa ricostruzione e delegittima, se mai ve ne fosse stato bisogno, l’orientamento del governo di produrre una frattura – modello anni ’70 – tra corpi di polizia e mondo del lavoro.

Scena 2. Interno giorno. Assemblea di Confindustria. Brescia.

Il premier Matteo Renzi parla dal palco agli industriali bresciani e lombardi, nella prima tappa del suo tour in alcune città. Ad un certo punto, afferma, in modo convinto: “dobbiamo evitare un rischio, che trovo un rischio pazzesco: è calcolato, studiato, e progettato un disegno in queste settimane che vuole dividere il mondo del lavoro. C’è l’idea di fare del lavoro il luogo dello scontro. C’è l’idea di mettere gli uni contro gli altri gli operatori del mondo del lavoro. È una delle idee che ha fermato l’Italia, che ha bloccato l’Italia. Se abbiamo perso vent’anni è perché si è pensato che attraverso manifestazioni e proteste si potesse dividere in due il mondo del lavoro, dividendo l’Italia dei lavoratori e l’Italia dei padroni. Io sono qui oggi in Confindustria per dirvi che non esiste una doppia Italia, ma esiste un’Italia una, unica e indivisibile”. E fino a questo punto, si vede che Renzi segue una traccia scritta. Poi, però prosegue a braccio e sostiene una tesi che Gramsci avrebbe definito senz’altro “sovversiva dall’alto”. La riportiamo integralmente, perché in essa sono contenuti un attacco ideologico, “dall’alto”, alla Cgil e per di più la caricatura di quella organizzazione, colpevole non solo di aver diviso l’Italia, ma anche di aver sfruttato la sofferenza di lavoratori, precari, cassintegrati e delle mamme private dei propri diritti: “l’Italia di chi vuol bene ai propri figli non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale e non soltanto verbale legato al mondo del lavoro. Vogliono contestare il governo? È un loro diritto. Vogliono cambiare il presidente del consiglio? Ci provino, io devo cambiare il paese, non posso occuparmi di queste cose. Però posso dire una cosa: se vogliono contestare, contestino senza fare del diritto del lavoro, del mondo del lavoro, del dolore di un cassintegrato, della sofferenza di un precario, di cui nessuno parla più, della inquietudine di una mamma che non ha la maternità perché non è dentro un’azienda, delle difficoltà di chi sta fuori del mondo del lavoro, senza fare di tutti costoro il campo di gioco di uno scontro politico”. Come si vede, è Renzi che usa con gli industriali il “noi e loro”, e l’identificazione del “loro” è molto semplice. È Renzi che, per dirla con Carl Schmitt, usa la dialettica “amico-nemico”, configurando il nemico nella Cgil, giudicandolo e caricaturizzandone la missione sociale. È Renzi che con quella frase, che sembra detta en passant, e tuttavia costruita come un fuoco d’artificio retorico, “lo scontro non solo verbale” (il riferimento ai fatti di Roma è evidente) sceglie di costruire la frattura, come già aveva fatto Alfano, tra le forze di polizia e il mondo del lavoro. Ma soprattutto è Renzi che imputa alla Cgil una strategia dello scontro politico che fratturerebbe l’Italia in due. Se questo non è “sovversivismo dall’alto”, cos’è? Un’allegra chiacchierata al bar con quattro amici industriali bresciani?

Scena 3. Interno giorno. Vari talk show. Roma.

La linea tendenziale elaborata da palazzo Chigi e dal Viminale, per rispondere in realtà alle sfide poste dalla straordinaria mobilitazione di piazza san Giovanni, lo scorso 25 ottobre, scende per li rami di tutti gli esponenti della maggioranza del Pd, chiamati a dibattere in televisione. Da Matteo Colaninno a Giorgio Tonini, passando per Alessandra Moretti, è una lunga litania di affermazioni a sostegno del premier e del suo governo. Abbiamo dovuto anche ascoltare, dalla bocca del senatore Tonini, affermazioni di questo genere: “il conflitto d’interessi tra lavoratori e imprenditori è roba vecchia” (Coffee Break, la7). Forse intendeva riferirsi al buon vecchio marxiano “conflitto tra capitale e lavoro”, ma si sa, certe formule appaiono indigeste per chi non è proprio abituato a maneggiare pensieri filosofici così sofisticati. E non solo. Ovviamente, abbiamo dovuto anche ascoltare, a reti unificate, l’elogio della Leopolda.
Al termine di questa microsceneggiatura emergono due grandi questioni: il “renzismo” con tutta la sua dose di sovversivismo dall’alto sta dilagando, e non solo nei mezzi di informazione, grazie alla costruzione del nemico, individuato nella Cgil, probabilmente temuta come unica organizzazione di massa che può rendere la critica al governo un fatto di dimensioni sociali e politiche significative. L’indicazione del nemico produce la strategia dell’allarme sociale, per cui ogni manifestazione sindacale o politica contro il governo Renzi, d’ora in poi, sarà valutata e trattata come questione di ordine pubblico. Cui prodest? A chi giova la rinnovata strategia della tensione? Forse a scaricare sulla Cgil le mille difficoltà in cui nuota e si muove il governo Renzi? Vedremo.
Infine, il secondo interrogativo nasce sul silenzio dell’ala sinistra del Pd a proposito delle parole sovversive di Renzi e del dilagare, anche abbastanza offensivo per le intelligenze degli italiani, del pensiero unico “renziano”. È ancora il tempo per replicare burocraticamente? È ancora il tempo di rispondere alle cannonate con le palle di neve? Io penso di no.

http://www.jobsnews.it/a-chi-giovano-certi-allarmismi-3/


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