Tutta colpa delle Belle Arti

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Una delle “grandi opere” del Giubileo 2000 doveva essere il sottopasso di Castel Sant’Angelo, un tunnel che sarebbe partito da lontano e, che passando sotto le fondamenta della Mole Adriana, avrebbe fatto rispuntare il traffico dopo il Santo Spirito. Scendemmo nelle viscere dell’imponente castello poggiato dai Romani su uno zatterone di marmo. I tecnici ci indicavano le grandi fenditure nei muri: la Mole stava “aprendosi” verso il fiume. Il soprintendente ai Beni architettonici, Francesco Zurli, taceva. Parlò quello ai Beni archeologici, Adriano La Regina e pose il proprio veto decisivo. Lo chiamavano già il “signor NO” e da allora lo fu anche di più. Pochi però ricordano il restauro dei Fori curato da lui coi fondi (ben 120 miliardi in più annualità, anche quelli dimenticati) di una legge speciale voluta dal ministro Oddo Biasini. Pochi rammentano che il vero restauro strutturale del Colosseo lo curò sempre il “signor NO” coi 40 miliardi dati, quasi in silenzio, dalla Banca di Roma nei primi anni ‘90.
Il 47 % del Belpaese è protetto da vincoli paesaggistici posti dalle leggi Bottai (1939) e Galasso (1985). Ma gli architetti dello Stato vigilanti su di essi sono appena 487. In calo. Devono ovviamente occuparsi anche di 20mila centri storici (almeno mille mirabili), di migliaia di palazzi antichi, di 95mila fra chiese e cappelle, insieme agli storici dell’arte anche meno numerosi di loro (453). Molti sono anziani: da anni non si fanno concorsi.
Le “belle arti” – così le chiama la gente – hanno fama di bloccare questo e quello in un Paese peraltro insofferente di regole e vincoli. Tanto da essere devastato per oltre metà dagli abusi. Non sono quindi per niente popolari queste “sentinelle della tutela” destinate ad attuare, come possono, con fondi minimi, stipendi all’osso (i funzionari guadagnano 1700-1800 euro), rimborsi risibili per le missioni, l’art. 9 della Costituzione.
Non erano però mai state, neppure sotto Berlusconi, il bersaglio fisso di sindaci e assessori, anche del Pd, e dello stesso premier, Matteo Renzi, già da sindaco di Firenze. Ma sono così tanti i “no” delle Soprintendenze ai 100mila ricorsi edilizi e urbanistici annuali? Macché: appena il 2-3%. Tardano? Per forza, i tecnici che li esaminano sono appena 230 in tutta Italia. Esercitano “un potere monocratico”? Finora sì, come una équipe di scienziati, o di chirurghi. Mica chiedono un parere ai politici. Ma è proprio questo che risulta indigeribile. Difatti Decreto Franceschini e Sblocca Italia pongono ai pochi funzionari, stracarichi di pratiche complesse, termini perentori per rispondere. Addio controlli. E la Costituzione?.

Fonte: Left


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