“Fregheremo chi tifa contro”. L’ha detto a Quinta Colonna, su Rete 4, dove si trovava, a suo agio e la cosa non è sfuggita al Corriere. Sì, fregali tutti, Matteo. L’importante è vincere non convincere. Piegare il Senato, “spianare” Bersani e D’Alema, che sono…vecchi! Perché l’imprenditore è un datore non un prenditore. E sottilizzare pretendendo che i Riva non siano come quelli che investono sulle maestranze è “ideologico”, memoria vecchia, cioè “muffa”. E i sindacati? “Un’ora sola ti vorrei”, sfotte Repubblica. Li vede in fretta, dalle 8 alle 9. “Chi non muore si rivede”, Giannelli. E loro devono correre, per non morire.
Fiducia? Il Senato dovrebbe già avere molta fiducia nel governo per votare una legge delega, che gli consentirà di cambiare le regole del lavoro senza controlli parlamentari. Ma a Renzi non basta, vuole fiducia sulla delega, niente dibattito, si passi sotto la presidenza a gridare sì, chi dirà no o si asterrà sappia che potrebbe far cadere il governo, precipitando il paese nella crisi, sul tema del lavoro, il giorno stesso in cui la Merkel viene a Milano a parlare di lavoro. Gufo, avvoltoio, casta che difende se stesso, anti italiano. Trappola! E trappola alla cieca, perché il governo deve ancora presentare il maxi emendamento che avrebbe dovuto tener conto del documento approvato in direzione e dei 7 emendamenti di minoranza. Ma l’emendamento ancora non c’è. E che scherziamo, volete conoscerlo prima? Matteo non concede vantaggi a chi lo critica: fiducia o sfiducia, spianati o smerdati. Alla cieca. Dice Elle Kappa: “Fiducia su che cosa? Adesso ha fretta, poi ce lo spiega!”.
Scrive il Fatto quotidiano: “Renzi distrugge la sinistra”. Altolà. La sinistra si è già distrutta. Renzi non è la causa ma la conseguenza. Non dategli tanta importanza, che si diverte. Non è Renzi il portatore di una concezione autoritaria e bonapartista. Non in modo consapevole. È il prodotto di un lungo e reiterato vilipendio alle istituzioni. Consumato da uomini e partiti che le istituzioni hanno occupato e da campagne populiste e interessate.
“Salvate i parlamentari da tentazioni populiste” scrive sul Corriere uno degli ultimi intellettuali che ci restano, Claudio Magris. E ogni tentazione populista ha bisogno del suo demagogo populista. “Un conto è Cesare, che aveva dalla sua molti lazzaroni moralmente e civilmente inferiori alla classe aristocratica dei Catone e dei Bruto, ma che capiva assai meglio degli altri il futuro ed era certo più avanzato; un’altra cosa è Perón («dal disastro facile, ma spensierato», come lo definì Montanelli). Forse l’unico che ha saputo conciliare il rapporto carismatico e diretto con le folle e il rispetto, anzi il salvataggio delle libertà e della democrazia parlamentare, è stato De Gaulle, probabilmente il più grande uomo politico che abbia avuto l’Occidente nella seconda metà del Novecento”. Renzi purtroppo non è Cesare né De Gaulle e neppure Peron. Ha un po’ di Grillo, un po’ Berlusconi. Interviene sulle vite nostre e della democrazia come se stesse ancora giocando alla Ruota della Fortuna.
Basta. “La politica tornerà a essere cura della Polis, della cosa pubblica, dell’esistenza comune, soltanto se nascerà una nuova «classe politica» degna di questo nome”. Ancora Magris. Voterò la fiducia? Ho criticato il PCI quando ha cambiato nome solo per opportunismo. Non ho condiviso la deriva plebiscitaria e leaderistica di Veltroni, la successiva subalternità a Berlusconi, l’annichilamento nella seconda fase del governo Prodi. E meno che meno lo sproposito delle larghe intese, imposto da Napolitano. Infine non ho votato la riforma del Senato, voluta da Renzi, sgangherata e illiberale, per meglio sottolineare chi fosse il padrone. Farò quel che è nelle mie forze per far nascere una “classe politica degna del nome”. In Senato o fuori. Nel Pd o solo nella sinistra. Che non è solo un nome, è ancora un’idea.