Ulica Lesnaja, la via dei boschi, è a ridosso del centro, traffico caotico, gente che va (perchè?) sempre di corsa. I boschi non ci sono più da secoli. Al numero 8/12 non si meravigliano se arriva una telecamera: in genere sono stranieri, i russi vengono qui giusto una volta l’anno, il 7 ottobre, a ogni anniversario. Anna Politkovskaja abitava al sesto piano. Quella sera era piena di buste della spesa, era passata dal supermercato al ritorno dal giornale: le aveva appena poggiate davanti all’ascensore quando un killer ha spezzato la sua vita e la speranza di libertà nella nuova Russia. Rivedo emozionato tutto quello che avevo visto infinite volte: la farmacia sotto casa, il supermercato, la stazione della metropolitana per la Bielorussia, il portone con il codice. C’è una targa all’ingresso che ricorda il posto del suo sacrificio: nessuna parola in più, semplicemente “qui abitava…” ed è già un miracolo in un Paese dove due cronisti la settimana scorsa sono stati pestati a sangue, fortunatissimi perchè normalmente spariscono. Salgo quei gradini, mi fermo davanti al punto esatto, dove è morta, sto qualche minuto in silenzio a renderle omaggio. Anna l’avevo conosciuta due anni prima a Francavilla, per il premio dedicato ad Antonio Russo un cocciuto cronista abruzzese che aveva pagato anche lui con la vita la denuncia delle infamità di Putin in Cecenia. Mi si accappona la pelle, recuperando i ricordi. Gentile, discreta, sorridente sembrava una tranquilla signora della nuova società moscovita. E invece era una cronista cocciuta, senza paura. Talmente brava che per farla star zitta l’hanno dovuta uccidere.
La cifra è agghiacciante. Il sito della Fondazione in Difesa della Glasnost che tiene aggiornata la lista dei giornalisti uccisi o scomparsi, fornisce una statistica drammatica: negli ultimi vent’anni sono stati uccisi in Russia quasi trecento reporter: esattamente 294 tra giornalisti, fotografi e operatori radiotelevisivi, almeno un terzo nell’era Putin. Alto anche il numero dei giornalisti che sono scomparsi senza lasciare tracce, compresi numerosi stranieri tra i quali il freelance italiano Antonio Russo, il cui corpo fu rinvenuto il 16 ottobre 2000, orribilmente torturato, nelle vicinanze di Tbilisi, capitale della Georgia.
Fra le vittime, anche l’erede di Anna Politkovskaya, uccisa in un agguato insieme a un avvocato icona della lotta per i diritti civili: Anastasia Baburova, venticinquenne praticante della Novaya Gazeta. La Politkovskaya, massima espressione in Russia del giornalismo investigativo, è stata la quinta vittima infatti in un decennio, dello stesso giornale di opposizione. I giornalisti del quotidiano si trovano in uno stato di depressione palpabile non tanto perché hanno perso alcune delle firme migliori e degli amici più stretti, quanto perché cominciano ad avere il dubbio sul fatto che tutti i loro sforzi – rischiare la loro vita per raccontare ai loro lettori più di quello che trapela dalle fonti ufficiali – importino veramente a qualcuno. “I giornalisti non hanno la sensazione che ai lettori interessi quello che stanno facendo”, ammette amaramente Serghei Sokolov, vicedirettore del giornale. “Dopo aver appreso la notizia della morte di Anna – sottolinea Sokolov – siamo stati sopraffatti da una nube scura e dalla depressione. I nostri veterani hanno cominciato a temere se, nonostante tutto, non fosse necessario chiudere il giornale. Avevamo preso in considerazione seriamente la possibilità di chiudere e lo avremmo fatto se non avessimo ceduto alle forti pressioni delle giovani leve del nostro staff”. Ma i giornalisti adesso non corrono rischi solo con i servizi segreti, come ai tempi del comunismo, ma anche con i poteri forti, gli oligarchi, i gruppi criminali e i piccoli ras locali che ricorrono al terrore per restare al potere.
*Fonte:“Mafija”, Roundrobineditrice, 2014