Servivano i manganelli. Eh già, servivano i manganelli della polizia contro operai disarmati, servivano i manganelli e 5 feriti mandati in ospedale con contusioni e teste spaccate per sollevare finalmente un polverone su quanto sta accadendo a Terni, in Umbria, ormai da un paio di anni a questa parte. Piccole e grosse aziende che falliscono, chiudono, vengono delocalizzate. Storia di tutti i giorni, storia dell’Italia di oggi. Storia comune di uomini che da un giorno all’altro si vedono messi in mezzo a una strada e magari hanno a carico una famiglia, dei figli, il mutuo di una casa. Sono 2.600 scrive qualche giornale, sono molti di più, se si calcola l’indotto, è quello che sostiene chi in quella città irrimediabilmente segnata dai fumi della fabbrica, dalle polveri disperse, sa perfettamente senza che ci sia un sindacato qualunque a marcare le cifre. Perchè dietro quei numeri ci sono persone in carne ed ossa.
La loro battaglia l’avevano iniziata da un pezzo, gli operai ternani, da quando avevano subodorato che qualcosa non stava funzionando, dopo il fallito tentativo della Outkumpu. Avevano iniziato sommessamente ( e neanche tanto) le loro proteste. Avevano pensato che bloccare una ferrovia, una strada statale, piuttosto che fare presidi sotto il ministero dello sviluppo economico forse sarebbe servito a sollevare il polverone, o, come si dice tra gli addetti ai lavori, ad “accendere i riflettori”… invece niente, il mondo dell’informazione, tolti i media locali, continuava a tacere. Avevano continuato a tacere, anche quando pochi mesi fa si era arrivati all’estremo, con l’attuale amministratore delegato, Lucia Morselli, tenuta sotto assedio ( sequestrata, per usare un altro termine) per un’intera notte dai suoi dipendenti in seguito all’annuncio delle imminenti procedure di mobilità a carico di più di 500 persone. Neanche quello era riuscito a conquistare le prime pagine dei giornali, a far intuire che il vento stava cambiando e il malessere cresceva, ed era un malessere autentico, motivato.
Quest’effetto invece, lo hanno sortito i manganelli, lo ha sortito la reazione repressiva, attuata ( in maniera immotivata, dicono i più) su un corteo di circa 500 operai pacifici o comunque disarmati, arrivati nella capitale solo per difendere i propri diritti, primo fra tutti il posto di lavoro.
E il polverone è stato immediato: scambi di accuse tra Governo e sindacati, Cgil in primis, audizione del Ministro dell’Interno, paginone piene di speciali e commenti, servizi e approfondimenti, video che circolano insistentemente in rete per consentire a tutti di appurare la dinamica dei fatti e per raccontare un pezzo d’Italia che balza agli onori della cronaca solo quando accade qualcosa di eclatante.
A chi ha buona memoria non potrà sfuggire come questo episodio richiami un ormai lontano 7 luglio 2010, quando, a Piazza Venezia in corteo c’erano circa 5.000 persone venute per chiedere al Governo di rispettare gli impegni presi. Provenivano tutti dall’Abruzzo, terra martoriata dal terremoto, e pretendevano solo i propri diritti, ma i manganelli erano partiti anche lì, immotivati. I media avevano dovuto riaprire gli occhi e tornare a raccontare di una ricostruzione mancata e di promesse disattese.
Chissà quanti, allora come oggi, hanno benedetto/maledetto quei manganelli…