“Omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti”. È la pena di morte secondo papa Francesco, che in un incontro con una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale, ha messo sul campo una serie di questioni di giustizia e di diritto che nei media faticano a trovare uno spazio adeguato: dall’ergastolo alla tortura, dai centri illegali di detenzione e di accoglienza agli ospedali psichiatrici giudiziari, dalle esecuzioni extragiudiziali alle condizioni disumane delle prigioni, dalla corruzione alla carcerazione preventiva.
Ancora una volta a parlarne è quel Papa che ha scelto come destinazione del suo primo viaggio Lampedusa, l’isola italiana più vicina all’Africa che all’Italia, punta estrema di un’Europa distratta che non trova e forse non cerca risposte adeguate al grande e inarrestabile fenomeno delle migrazioni.
Pochi giorni fa ad Assisi ci siamo ritrovati per rilanciare l’impegno di illuminare le periferie del mondo, trovando strumenti per amplificare la nostra voce.
Allora, tornando alla pena di morte, che certamente possiamo considerare una delle periferie, perché non sostenere tutti insieme una nuova campagna contro la pena di morte. Magari cominciando da Asia Bibi, la giovane pakistana da quattro anni in carcere, condannata il 16 ottobre dall’Alta corte di Lahore in via definitiva all’impiccagione per blasfemia.
“Fermiamo la condanna di Asia Bibi” ha scritto Famiglia Cristiana. Fermiamo la condanna anche noi, unendo le forze, dando vita a quel “sito di siti” di cui abbiamo parlato ad Assisi, lavorando perché la pena di morte torni nell’agenda dell’informazione.