La questione ambientale è stata, in questi anni ,una questione di vitale importanza che ha rivestito un ruolo di sempre maggior importanza, rispetto ai singoli come alla collettività, rispetto ai scienziati e ambientalisti che, preoccupati per le condizioni sempre più catastrofiche della Terra. I disastri che hanno colpito aree diverse del pianeta in tempi recenti e recentissimi (dalla Florida all’India, dal Centro-America a Praga e a Dresda) e proprio perché i segnali sono stati forieri di grande allarme.
E proprio perché i segnali sono stati gravissimi, tutti hanno compreso che l’allarme che ne è derivato è stato molto forte. Alla fine degli anni Ottanta, molti paesi hanno adottato con il protocollo di Montreal, si sono rivolti ai clorofluorocarburi e alcuni anni dopo, nel 1997, hanno adottato il protocollo di Kyoto e si sono impegnati a ridurre le emissioni di vari gas serra che avevano provocato una serie di pessimi effetti. Soltanto nel 2004 Kyoto ha raggiunto il numero minimo di aderenti per diventare effettivo e l’Unione Europea ancora più rigido e all’appello-colmo dei colmi-ancora nel 2007 mancano all’appello gli Stati Uniti, lo Stato che inquina di più. Come fanno quelli che dicono di voler esportare la democrazia in mancanza di nuove terre da conquistare e senza poter usare il loro petrolio? Per quale ragione la ragion di stato americana deve prevalere sulle esigenze ecologiche dell’intero universo? E perché un abitante di Nuova York può consumare settanta volte la quantità di acqua utilizzata da un abitante del Ghana?
Non è accettabile che al mondo ci siano persone che sprecano troppo e persone che muoiono di sete. Nessuno può avere difficoltà a sopravvivere e persone che sprechino quello di cui dispongono. Nei rapporti scientifici prodotti tra gli anni Settanta e Ottanta, da quello pubblicato nel 1972 e intitolato Limits to Growth e, qualche anno dopo, emerse un rapporto successivo che si potrebbe intitolare Dalla crescita infinita all’equilibrio globale rappresentava una lucida analisi del mondo contemporaneo spinto dall’incremento demografico a uno sviluppo senza limiti in condizioni climatiche sempre peggiori. Per rallentare un processo che, alla lunga, sarebbe diventato sempre più difficile e pericoloso, l’uomo avrebbe dovuto spingere l’acceleratore sull’efficienza e allo stesso tempo frenare consumi e crescita democratica. Nasceva così il principio dello sviluppo sostenibili di cui studiosi e movimenti politici si sono fatti con forza sostenitori. Si tratta di documenti che si chiamano “Our Common Future” e il rapporto BrundLand(dal nome di un ministro norvegese). Nel rapporto del Dipartimento di Stato americano noto come The global Report to the president”, scritto nel 1980 ,si sottolinea a ragione il rischio emergente di un peggioramento della qualità della vita causato dalla crescita della popolazione mondiale, dalla scarsità delle risorse e dall’inquinamento crescente. Negli Stati Uniti allora Ronald Reagan divenne presidente e semplice mente ignorò il documento. Le conseguenze sono ora sotto gli occhi nostri e di tutti i contemporanei.